Interno cucina, ora di cena, di un giorno qualunque di metà autunno. Piove da quasi dieci giorni, ininterrottamente. La pioggia serve, è una benedizione, sì ma così fa danni, eh ma vedrai il prossimo anno che annata. Piove, e basta. E, in fondo, a noi non interessa, non interessa più. Non interessa alla signora alla finestra, che non sente più freddo, non sente più caldo, non vede più la luce del sole ma nemmeno il buio della notte, perché dove sta adesso il clima è sicuramente mite e temperato, un’eterna primavera, come piaceva a lei. Non interessa a me, che quel clima mite ho imparato a crearlo nella mia testa, per non essere trasportata né dal vento né dalla pioggia. Non ci interessa più ma, in fondo, ci piace sentire quel ticchettio sulla finestra, ognuna nella propria dimensione, forse lontane l’una dall’altra, forse più vicine di quanto si possa pensare.
La signora alla finestra.
1 OttInterno cucina, ora di cena, in un giorno qualunque di fine estate.
Il sole è appena tramontato, ma a noi non interessa, a noi interessa solo che la cena sia pronta, e invece dobbiamo aspettare, e aspettare, e aspettare, almeno una decina di minuti, cioè un tempo infinito. Siamo sedute a tavola, la ragazza (mia madre) freme perché il ragazzo (mio padre) non le ha ancora portato il piatto con le adorate lenticchie, io le tengo compagnia nella estenuante e lunghissima (nel frattempo i dieci minuti sono diventati sette) attesa.
“C’è una signora, hai visto?”, “dov’è, Ceci?” “è lì, lì davanti” “vicino alla finestra?” “no, lì davanti”, “ah sì, è davanti a te, alla finestra! Sì la vedo” “mi guarda sempre” “e tu salutala, così è contenta” “sì.. ma..” “cosa c’è? Cosa sta facendo quella signora?”, “ma quella sono io..” “sì, Ceci, sei tu, è la tua immagine riflessa!” “eh ma io l’ho capito” “certo, sei stata bravissima!” “eh sì, sono io” “sì, sei tu, e adesso mangiamo le lenticchie, che ne pensi?”, “sì, finalmente”.
Emozionarsi per una mancata allucinazione. Queste, anche queste, possono essere le piccole gioie della vita. Questo significa ristrutturare il proprio cervello, la propria vita.
Tutto può accadere, l’importante è ricordare chi sei.
21 SetE torno qui, per ricordare chi sono. Per capire se veramente quel tutto che è accaduto, abbia disintegrato per sempre una parte di me, obbligandomi a ricostruirmi, o se qualcosa della giraffa che ero, in fondo sia rimasta.
Disintegrata? Sì. Per sempre? Sì. Vivere il costante, inevitabile, penoso dissolvimento di una persona cara non può non disintegrare una parte di noi stessi. Per quanto ci si possa impegnare, la fatica e il dolore non possono lasciarci completamente indenni, a meno che decidiamo di trasformarci in macchine.
D’altra parte, come dice il saggio “Il dolore è la rottura dell’involucro che racchiude la vostra comprensione” (Gibran, Il Profeta) quindi, forse, la parte disintegrata è quella che mi impediva di capire. Sia chiaro, io questo dolore non lo volevo, così come non lo voleva nessun membro della famiglia, meno che mai mia madre, la vittima diretta di Mr Alzhy, ma è arrivato, come effetto collaterale della malattia. E mi ha obbligato a comprendere. Comprendere cosa? Un milione di cose, e forse anche qualcuna in più. Ma sopratutto mi ha obbligato e mi obbliga ogni giorno, a ricostruirmi pezzo per pezzo, come se fossi un giochino della Lego: provo un mattoncino quadrato e mi rendo conto che non combacia con gli altri, allora ne prendo uno rettangolare e va bene, poi un altro e sembra che sia compatibile con gli altri e così via, ogni – santo – giorno, con l’unico obiettivo di garantire a mia madre una vita il più possibile dignitosa e serena, e cercare di fare altrettanto con le nostre vite.
Ma tornando sul monte, mi rendo conto che, purtroppo, tra le parti disintegrate c’è anche quella più leggera, c’è la vecchia giraffina che si fermava a sorseggiare un infuso di rugiada all’ombra della grande Quercia, in compagnia delle cicale.
Ecco, ho capito che quella, vale la pena ricostruirla.
Un minuto tutto per me.
16 AprHo un minuto tutto per me, e in questo periodo è decisamente un lusso.
Prendersi cura di un familiare con demenza di Alzheimer (Mr Alzhy, come lo chiamo io) richiede un impegno costante, continuo, pressoché ininterrotto durante l’intero arco della giornata. Sono richiesti pazienza e nervi saldi, strumenti che se non previsti in dotazione nel nostro personale “pacchetto nascita” bisogna procurarsi in qualche modo.
Io, paziente un po’ lo nacqui e un po’ no, i nervi li saldo strada facendo e, in mezzo al caos che Mr Alzhy crea, imparo, imparo tanto sugli altri e su me stessa.
Paradossalmente, cercando di soddisfare anche il più piccolo bisogno altrui, capisco e accetto di avere anch’io delle necessità, degne di essere accolte e appagate.
Ecco perché sono qui, di nuovo dopo tanto tempo, su questo monte virtuale e surreale, che mi manca tanto, perché qui ritrovo una parte di me, quella più leggera, e Dio sa quanto abbia bisogno di leggerezza.
E allora salgo lemme lemme verso la Radura Tranquilla, lungo il Sentiero delle Foglie croccanti, circondata dal giallo delle ginestre, che mi dà una grande energia, dal viola della lavanda, dal verde intenso del leccio, e dal chiasso dei pennuti che lavorano tra i rami.
Cammino, senza pensare a nulla, senza essere nulla se non una parte insignificante di questo piccolo, semplice mondo perfetto, un nulla che ha un minuto per sé e non vuole sprecarlo. Cammino, la temperatura è perfetta, qualche raggio di sole filtra dalle fronde degli alberi, mi scalda, e sopratutto si prende cura di me senza saperlo. Cammino, cammino e cammino ancora, ma non sento stanchezza, solo una strana e inspiegabile euforia.
Finalmente, giungo al cospetto della Grande Quercia, alta, possente, rassicurante, è circondata da timidi e vezzosi ciclamini. Mi accolgono con discrezione ma credo che, in fondo, anche loro siano felici di vedermi.
Beviamo insieme un bicchiere di rugiada fresca, non parliamo, non ne abbiamo bisogno. Una leggera brezza porta gli odori della macchia, l’aria sa di cisto, di asfodelo, di lavanda, di terra bagnata, di tempo sospeso.
Ci godiamo il nostro minuto, il nostro pensiero felice. Niente di più, niente di meno.
La mia Maestra.
8 NovTema del giorno:
Parla della tua maestra.
Svolgimento
La mia Maestra è molto bella, brava e gentile.
A volte, è anche un po’ stronza e lei lo sa, perché glielo dico, ma non si offende e quando mi vede in un angolo imbronciata ed offesa per qualche suo rimprovero severo, mi fissa negli occhi e mi dice «lo faccio per il tuo bene».
Quindi, la mia Maestra è la classica stronza paracula.
Però, in effetti è vero che quando è severa, o anche molto severa, io imparo di più, capisco le cose, come funzionano e come funziono io, capisco se sbaglio, perché sbaglio, e a volte capisco anche come devo correggere lo sbaglio.
Insomma, il Suo Metodo da stronza funziona.
La mia Maestra sa fare un sacco di cose: sa ballare il twist e il tango, sa cantare, sa far piangere, sa dipingere albe e tramonti, sa far ridere, a modo suo sa far di conto, sa far sognare, sa addirittura fare le magie.
La mia Maestra è misteriosa, a volte parla senza parole, e capita che non la capisca proprio, altre volte sta zitta e la capisco ancora meno, a volte urla e mi fa paura, a volte mi accarezza e mi stupisco, è fatta così, la prendo per quello che è.
La mia Maestra è un po’ pedante, e sa di esserlo ma non le importa nulla, non smette mai di insegnare le cose, è una sua fissa, se non insegna non sta bene.
Un mio compagno di scuola è riuscito a scoprire il suo nome, glielo ha detto suo cugino della quinta A, uno che sa tutto, pare si chiami Vita, Sig.ra Vita, ma ancora non siamo riusciti a scoprire il cognome. Non è che ce ne freghi molto di sapere anche il cognome, però magari può essere utile per il prossimo tema.
Shine
7 Dic
“Our deepest fear is not that we are inadequate. Our deepest fear is that we are powerful beyond measure. It is our light, not our darkness that most frightens us. We ask ourselves, ‘Who am I to be brilliant, gorgeous, talented, fabulous?’ Actually, who are you not to be? You are a child of God. Your playing small does not serve the world. There is nothing enlightened about shrinking so that other people won’t feel insecure around you. We are all meant to shine, as children do. We were born to make manifest the glory of God that is within us. It’s not just in some of us; it’s in everyone. And as we let our own light shine, we unconsciously give other people permission to do the same. As we are liberated from our own fear, our presence automatically liberates others.”
“La nostra paura più profonda non è quella di essere inadeguati, ma di essere potenti oltre misura. E’ la nostra luce, non la nostra ombra a spaventarci di più. Ci chiediamo, chi sono io per essere brillante, bellissimo, pieno di talento e favoloso? In realtà, chi sei tu per non esserlo? Sei figlio di dio. Il tuo giocare in piccolo non serve al mondo. Non c’è niente di illuminato a sminuire se stessi in modo che altre persone non si sentano insicure vicino a te. Siamo tutti nati per brillare come fanno i bambini. Siamo nati per manifestare la gloria di Dio che è dentro di noi. Non solo in alcuni di noi, ma in tutti noi. E mentre lasciamo che la nostra luce risplenda, inconsciamente diamo agli altri la possibilità di fare altrettanto. E quando siamo liberati dalle nostre paure, la nostra presenza automaticamente libera gli altri.”
Marianne Williamson? Nelson Mandela? Chiunque l’abbia detto, non m’importa, è un pensiero che condivido, pienamente. Siamo tutti nati per brillare.
Vaffanculo.
31 OttL’aspetto affascinante delle batoste è che nessuno può prevedere la reazione di chi la riceve. Qualcuno si chiederà perché a me? e si darà una risposta, altri negheranno che sia mai successo, altri ancora resteranno ammutoliti per ore, altri penseranno che magari sarebbe dovuto capitare a chi scioglie i bambini nell’acido, altri piangeranno di rabbia, altri capiranno, altri rideranno, altri avranno crisi isteriche, altri si rassegneranno, altri invece faranno tutto questo, con l’aggiunta di una parola, una sola: vaffanculo. Vaffanculo alle cose superflue, alle persone superflue e a quelle moleste, ai pensieri inutili, alla buona educazione, all’ego, alle scuse, alle bassezze, alle illusioni. Ok, sono pronta. Vaffanculo.
Impressioni di settembre.
1 SetNo, cosa sono adesso non lo so,
sono un uomo, un uomo in cerca di se stesso.
No, cosa sono adesso non lo so,
sono solo, solo il suono del mio passo.
e intanto il sole tra la nebbia filtra già
il giorno come sempre sarà.
Impressioni di settembre (PFM)
La bici della felicità.
13 LugGrande Capo Esti Pazzi (visitate il suo blog, mi raccomando) mi ha nominato per l’ABC della felicità, un gioco creato da Carla per scambiare le ricette della felicità, anzi proprio l’ABC della felicità, i fondamentali insomma. Ringrazio il Grande Capo e accetto di partecipare, a modo mio, anche perché non ho ricette della felicità, tutt’al più posso avere una bici di quelle con il cestino, e dentro qualche ingrediente utile. E così, stamattina, mentre mi preparavo ad andare in giro per i campi di lavanda (sì, vabbe’) nel cestino della mia bici ho trovato una bella manciata di Adesso, che mi ricorda di non aspettare chissà quale grande evento, quale strepitosa magia, quale grandioso successo, per sentirmi felice, oggi stesso posso scegliere di iniziare la giornata con il muso o con un sorriso, oggi però, non domani. Mentre continuavo a dare una sistemata alla bici, dal cestino è spuntato fuori uno strano Beyourself, e ho dovuto controllare nel vocabolario per scoprire che quella cosa significa sii te stesso, perché in fondo vestire i panni di qualcuno che non esiste dà una felicità che non esiste e un’infelicità invece molto reale. E poi, mentre ero pronta a sfrecciare con la mia bici tra i campi di grano dorato (ma non erano campi di lavanda? Boh) dal cestino è venuto fuori un ciuffo di Condividi con generosità, condividi quello che sei, quello che hai, quello che senti, con gli altri, così la felicità può moltiplicarsi. E poi, finalmente, sono riuscita a sfrecciare con la mia bici tra i campi di girasole, di lavanda, di grano (eheh).
Commenti recenti