Qualche volta, quando incontro una persona per la prima volta, mi capita di provare la sensazione di averla già conosciuta, non si tratta di un semplice déjà vu, non è la sensazione di “rivivere” un momento già vissuto, è qualcosa di diverso, di più forte, che non lascia dubbi, quella persona l’ho conosciuta e basta. Probabilmente, esiste una spiegazione a tutto ciò, sarà di tipo neurologico, psicologico, o di altra natura ma, al momento non la voglio cercare, accetto la mia bizzarria. Mi capita anche con i luoghi, ed è altrettanto bizzarro, perché a volte mi sento a casa in posti totalmente sconosciuti.
Trieste è uno di quei luoghi. Sapevo di averla già conosciuta, mentre leggevo storie sul suo conto, o quando vedevo immagini che la ritraevano, bella e malinconica. O magari, chissà, forse, semplicemente, mi ha sempre affascinato quel suo essere così libera, o il fatto che sia stata così importante per la nostra storia eppure così poco conosciuta dagli italiani.
E allora, eccola, finalmente, Trieste, affascinante bellezza mitteleuropea, con i suoi palazzi imponenti e sontuosi, con la sua Piazza aperta sul mare, con i suoi abitanti, accoglienti e discreti, con i mille suoni di lingue diverse che volano nell’aria. Trieste è elegante, libera, vivace, forte, bella, nonostante l’inaspettato caos del traffico nelle strade. Trieste non mi è nuova, eppure la vedo per la prima volta, la conosco eppure, senza che lei lo voglia, mi incanta e mi fa sentire a casa.
Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
Umberto Saba – Trieste e una donna (1910-1912)
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