«Cari amici, sono contenta di raccontarvi l’antica leggenda di Cercalù, la mia antenata, la prima giraffa arrivata sulla Terra, la Grande Giraffa Madre. È una storia tramandata dai padri e dalle madri ai propri figli e ogni giraffa la impara a menadito, per poi raccontarla, a sua volta, ai propri discendenti. Cercalù era una piccola giraffa, con il pelo giallo e le macchie marroni, con le zampe lunghe, il corpo massiccio, la lunga coda, le corna pelose e il collo…corto, o meglio, più corto rispetto a quello che noi tutte abbiamo oggi, diciamo lungo come il collo delle zebre. La piccola Cercalù era nata in una notte di luna piena e, fin da piccola, aveva espresso un unico desiderio: arrivare fino alla luna, soltanto per sfiorarla con il muso.
Naturalmente, tutti la scoraggiavano, la sua famiglia, i suoi amici, addirittura i conoscenti. Le scimmie, chissà perché, erano le più agguerrite, dicevano «è impossibile che una giraffa dia un bacio alla luna, I-M-P-O-S-S-I-B-I-L-E, mettitelo in testa, piccola sciocchina».
Ma anche gli elefanti, considerati i più saggi della savana, le consigliavano di lasciar perdere «Giraffa, caro tesoro, tutti noi siamo troppo piccoli per poter arrivare alla luna, possiamo solo ammirarla da quaggiù. Vai per la tua strada e non pensarci più», così parlò il Vecchio Elefante.
Però, la mia antenata, forse anche per colpa del nome, che un po’ ricordava la luna, non voleva sentire ragioni, anzi, secondo gli abitanti della savana, non sapeva proprio cosa fosse la ragione,«prima o poi, arriverò fin lassù, vedrete!».
Immaginava i modi più difficili per arrivarci: un ponte fatto di rami d’acacia; una torre altissima, realizzata con tutti gli animali della savana, messi uno sopra l’altro; l’allungamento del suo collo, con tanti esercizi quotidiani.
Ogni giorno, si allenava ad allungare il proprio collo, con disciplina, tenacia, costanza.

Narra la leggenda che un giorno, mentre Cercalù era intenta a consumare la cena in compagnia del suo amico facocero Metemagno, il quale non aveva mai desiderato né baciare né abbracciare nessuna palla bianca nel cielo, lui le disse, tra un boccone e l’altro, “guarda, secondo me, è più semplice di quanto pensi, devi solo rilassarti, stare tranquilla, non pensarci troppo, ecco”. Quelle parole la colpirono molto.
Da quel momento, Cercalù iniziò a ripetere la frase del suo amico, “è più semplice di quanto pensi”, tutti i giorni e tutte le notti. Quasi non dormiva più, faceva gli esercizi per allungare il collo e ripeteva la sua frase, e in quel modo, si tranquillizzava. Però, il modo per arrivare alla gigantesca guancia lunare, proprio non le veniva in mente. E così, trascorsero le ore, i giorni, gli anni.
Cercalù continuava con i suoi esercizi per allungare il collo, «hop, hop, hop, vedrai, vedrai che ci arriverò» e, lentamente, il suo collo diventava sempre più lungo, fino ad arrivare alla cima dei grandi alberi di acacia, con enorme stupore di tutti gli abitanti della savana. Ma, nonostante il suo collo fosse diventato sempre più lungo, Cercalù non riusciva ad arrivare alla grande luna, era sempre troppo lontana.

Fu così che una notte, la mia antenata, ormai diventata adulta, e quasi rassegnata, volle fare un ultimo tentativo e si rivolse direttamente alla luna, con queste parole: «grande Luna, in una lontana notte d’estate, tu mi hai vista venire al mondo, mi hai guardata con i tuoi grandi occhi dolci, hai vegliato su di me in tutti questi anni, come una madre, ma non hai mai voluto che venissi lassù, da te, ed io rimango sempre troppo piccola per salire da sola e darti solo un bacio, proprio come si fa con le mamme. Grande luna, indicami la strada e la seguirò» e si addormentò.
Secondo la leggenda, quella stessa notte, Cercalù si svegliò, dopo aver sentito uno strano fruscio accanto a sé, e appena aprì gli occhi si rese conto che il cielo era diventato completamente buio, senza nemmeno uno spicchio di luna, mezza luna, tre quarti di luna, niente di niente, era come se la luna se ne fosse andata in vacanza. In quel momento, pensò “ecco, ho sbagliato a parlare alla luna. Avevano ragione tutti gli altri, è meglio lasciar perdere, tanto è solo una palla bianca, anche un po’ strana, addirittura più strana di me” e, delusa, decise di tornare a dormire.
Ma, proprio mentre stava per ricominciare a sognare, vide un’insolita luce spuntare dal manto di foglie accanto a lei.

Incuriosita, lo smosse un poco con la zampa e, all’improvviso, vide l’enorme palla bianca e luminosa che la guardava divertita e, placidamente adagiata sulla terra, le disse, con i suoi occhi dolci: “vedi, cara Giraffa, io ti ho sempre ascoltata e ho sempre vegliato su di te, che sei la mia figlioccia adorata, ma per realizzare il tuo grande desiderio,dovevi prima crescere, diventare forte, fare il tuo meglio per diventare la bellissima creatura con il collo lungo che ora sei. Dammi un bacio, Giraffa cara, e torna a sognare”. E così fece, Cercalù diede un bacio alla luna e si addormentò.
Da quella notte, tutti gli abitanti della savana compresero la sua forza e il suo coraggio, ne ebbero quasi timore, e la trattarono con grande rispetto.
La nostra antenata diventò, così, per via del suo lungo collo e del coraggio dimostrato, la sentinella e la custode della savana, con l’mpegno di tramandare i suoi doni alla propria discendenza.
Ecco, cari amici, questa è la storia della nostra grande famiglia».
I miei amici, disposti intorno alla grande Quercia, rimasero in silenzio per un po’. Mi
guardarono senza fiatare ed io non capivo se la mia storia li avesse annoiati al punto
da farli dormire con gli occhi aperti o chissà cos’altro. Il primo a rompere il silenzio
fu Nando, «ehi, sore’, ma questa è una storia super bella!!! Finalmente, ho capito perché sei strana! Hai ereditato tutto dalla tua antenata!».
E Inut, «cara Giraffa, direi che la mia curiosità è stata soddisfatta in pieno. La tua antenata è stata molto coraggiosa a credere fino all’ultimo di poter dare un bacio alla luna e, alla fine, è riuscita nel suo intento. Hai una grande eredità da portare avanti: credere sempre in quello che fai».
I lombrichi in coro, «oh, Giraffa, ma è una ftoria belliffima! Anche il Grande Lombrico, il noftro antenato, è ftato molto coraggiofo, un giorno riufì a non farfi mangiare da un merlo!».
Infine la Grande Quercia, «cara Giraffa, grazie per la tua storia. Ora conosciamo un po’ meglio le tue origini, la tua grande e antica famiglia. Come ha detto Inut, hai una grande eredità da tramandare, fanne tesoro, sarà la tua forza».
Come diceva mio padre a noi piccole giraffe «noi apparteniamo al glorioso popolo delle giraffe, forte e coraggioso, non dimenticatelo mai!». Non l’ho mai dimenticato.
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