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Un minuto tutto per me.

16 Apr

giraffa palmeHo un minuto tutto per me, e in questo periodo è decisamente un lusso.
Prendersi cura di un familiare con demenza di Alzheimer (Mr Alzhy, come lo chiamo io) richiede un impegno costante, continuo, pressoché ininterrotto durante l’intero arco della giornata. Sono richiesti pazienza e nervi saldi, strumenti che se non previsti in dotazione nel nostro personale “pacchetto nascita” bisogna procurarsi in qualche modo.
Io, paziente un po’ lo nacqui e un po’ no, i nervi li saldo strada facendo e, in mezzo al caos che Mr Alzhy crea, imparo, imparo tanto sugli altri e su me stessa.
Paradossalmente, cercando di soddisfare anche il più piccolo bisogno altrui, capisco e accetto di avere anch’io delle necessità, degne di essere accolte e appagate.
Ecco perché sono qui, di nuovo dopo tanto tempo, su questo monte virtuale e surreale, che mi manca tanto, perché qui ritrovo una parte di me, quella più leggera, e Dio sa quanto abbia bisogno di leggerezza.
E allora salgo lemme lemme verso la Radura Tranquilla, lungo il Sentiero delle Foglie croccanti, circondata dal giallo delle ginestre, che mi dà una grande energia, dal viola della lavanda, dal verde intenso del leccio, e dal chiasso dei pennuti che lavorano tra i rami.
Cammino, senza pensare a nulla, senza essere nulla se non una parte insignificante di questo piccolo, semplice mondo perfetto, un nulla che ha un minuto per sé e non vuole sprecarlo. Cammino, la temperatura è perfetta, qualche raggio di sole filtra dalle fronde degli alberi, mi scalda, e sopratutto si prende cura di me senza saperlo. Cammino, cammino e cammino ancora, ma non sento stanchezza, solo una strana e inspiegabile euforia.
Finalmente, giungo al cospetto della Grande Quercia, alta, possente, rassicurante, è circondata da timidi e vezzosi ciclamini. Mi accolgono con discrezione ma credo che, in fondo, anche loro siano felici di vedermi.
Beviamo insieme un bicchiere di rugiada fresca, non parliamo, non ne abbiamo bisogno. Una leggera brezza porta gli odori della macchia, l’aria sa di cisto, di asfodelo, di lavanda, di terra bagnata, di tempo sospeso.
Ci godiamo il nostro minuto, il nostro pensiero felice. Niente di più, niente di meno.

La bici della felicità.

13 Lug

downloadGrande Capo Esti Pazzi (visitate il suo blog, mi raccomando) mi ha nominato per l’ABC della felicità, un gioco creato da Carla per scambiare le ricette della felicità, anzi proprio l’ABC della felicità, i fondamentali insomma. Ringrazio il Grande Capo e accetto di partecipare, a modo mio, anche perché non ho ricette della felicità, tutt’al più posso avere una bici di quelle con il cestino, e dentro qualche ingrediente utile. E così, stamattina, mentre mi preparavo ad andare in giro per i campi di lavanda (sì, vabbe’) nel cestino della mia bici ho trovato una bella manciata di Adesso, che mi ricorda di non aspettare chissà quale grande evento, quale strepitosa magia, quale grandioso successo, per sentirmi felice, oggi stesso posso scegliere di iniziare la giornata con il muso o con un sorriso, oggi però, non domani. Mentre continuavo a dare una sistemata alla bici, dal cestino è spuntato fuori uno strano Beyourself, e ho dovuto controllare nel vocabolario per scoprire che quella cosa significa sii te stesso, perché in fondo vestire i panni di qualcuno che non esiste dà una felicità che non esiste e un’infelicità invece molto reale. E poi, mentre ero pronta a sfrecciare con la mia bici tra i campi di grano dorato (ma non erano campi di lavanda? Boh) dal cestino è venuto fuori un ciuffo di Condividi con generosità, condividi quello che sei, quello che hai, quello che senti, con gli altri, così la felicità può moltiplicarsi. E poi, finalmente, sono riuscita a sfrecciare con la mia bici tra i campi di girasole, di lavanda, di grano (eheh).

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La felicità, a tutte le età.

19 Mar

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Le età della felicità
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(di Lorenzo Marone*)

La felicità non è qualcosa di statico che sta lì e non cambia, che puoi afferrare a dieci anni come a ottanta o novanta. La felicità si mostra per quello che è, una sensazione duttile, che cresce, si trasforma e forse invecchia, proprio come facciamo noi. La felicità di un bambino nello scartare un gioco non può essere la stessa che prova un anziano nel ritrovare una vecchia foto. Quello che ci rende felici a trent’anni non avrà la forza di farlo a sessanta. L’inconsapevolezza giovanile, la voglia di spaccare il mondo, il senso di onnipotenza che rende quell’età unica e irripetibile non potrebbero sopravvivere al passare degli anni, e se accadesse vorrebbe dire che qualcosa è andato storto.

Non esiste una sola felicità.

Fino ai dieci anni la felicità è inventarsi un gioco
Tuo nonno apre l’armadio e tu avverti il solito odore di naftalina che ti fa stare bene. Quando si gira, ha in mano il volante di un’auto, uno vero, ti spiega, quello della sua vecchia Cinquecento, che si è fatto smontare apposta per te. Lo guardi strabiliato, lui ride, ti dà un buffetto sulla guancia e se ne va, mentre tu rimani ad accarezzare il fantastico oggetto grigio con il pulsante del clacson nero e rosso al centro. Devi provarlo: ti siedi sulla poltrona e lo appoggi alle ginocchia. Ora hai anche tu la tua Cinquecento, gialla e col tettuccio apribile, come quella del padre del tuo migliore amico. Di là ti stanno chiamando, è ora di cenare. Dovranno aspettare, adesso sei impegnato. Inserisci la marcia, impugni il volante con entrambe le mani e parti a tutta velocità, tanto sulla tua strada non ci sono né semafori, né incroci. Ancora per un bel po’.

A vent’anni la felicità è poter rincorrere la vita inconsapevoli
Il rumore della Vespa copre la sua voce, mentre il vento ti sbatte in faccia il mare che ruggisce contro gli scogli. Il mento di lei è nell’incavo della tua spalla, i suoi capelli ti svolazzano davanti agli occhi, le labbra ogni tanto si poggiano sul collo e le braccia ti avvolgono, anzi ti avvinghiano, una attorno al bacino, l’altra quasi aggrappata al torace. È come se la stessi portando sulle spalle, e ti stringe così forte che puoi sentirne il seno dietro le scapole. Fra poco vi fermerete sulla vostra panchina. Fra poco. Per adesso, invece, siete ancora qui, a sfidare l’aria, il vento e il mare, a rincorrere la vita, a ridere e a riempirvi i polmoni di questa strana brezza che una volta giunta nel petto provoca una specie di gorgoglio, come il bicarbonato che si scioglie nell’acqua. Forse vent’anni sono pochi per capire che quel gorgoglio è la felicità. Ma, in fondo, chi se ne frega.

A trent’anni la felicità è un progetto
Le stelle di questa notte d’estate punteggiano il cielo mentre voi quattro ve ne restate distesi sulla sabbia accanto al fuoco che borbotta assonnato. Gli altri sono andati a dormire, voi, invece, avete ancora voglia di sognare. Perché stasera è la notte in cui tutto è permesso, persino sperare che non passi mai. Ti accendi una sigaretta e ti perdi l’ennesima stella che graffia il cielo. Ma fa niente, perché state parlando di donne, di futuro e di passato, di progetti, e di quest’estate che presto finirà e vi renderà un po’ più grandi, forse un po’ più distanti. Per adesso, però, il sole non è ancora sorto e le stelle continuano a cadere. Perciò fai un tiro e cacci il fumo dal naso, mentre ridi per l’ennesima stupida battuta. Continua a leggere

La felicità è una scelta (?).

20 Dic

snoopy (5)La felicità è una scelta. Lo dicono gli scienziati, lo dicono i saggi, lo dicono gli Illuminati. Davanti agli eventi della vita, dicono, abbiamo due possibilità: scegliere di sentirci infelici o scegliere di sentirci felici. Sembra sciocco, sembra aria fritta, sembra una follia. In realtà, come tutte le scelte importanti della vita, è semplice e difficile, allo stesso tempo. Semplice, perché se in questo preciso momento, sospendete qualsiasi sentimento negativo (tristezza, ansia, rabbia, frustrazione, impotenza etc. etc.) e provate a sentirvi felici,  ci riuscite, ed è una sensazione di grande libertà e leggerezza. Difficile, perché se provate a mantenere quello stato di felicità, di leggerezza, di gioia, per un periodo più lungo di qualche minuto, di qualche ora, be’ allora vi rendete immediatamente conto di quanto sia impegnativo scegliere di essere felici, quanto sia faticoso evitare di lasciarsi influenzare dai fattori esterni, quelli indipendenti dalla nostra volontà. Serve esercizio quotidiano, servono altre scelte più piccole, serve costanza, serve volontà ma non ha costi aggiuntivi :-). E può essere un buon proposito da mettere sotto l’albero.

Il dolce masochismo.

3 Nov

imagesSiamo creature bizzarre, noi esseri umani, molto più simili agli animali di quanto crediamo. Sopratutto, nell’attaccamento alle nostre abitudini, gioiose o dolorose che siano. Basta osservare cosa accade quando un cane, tenuto per lungo tempo alla catena, viene liberato, per rendersi conto di quanto ci assomigliamo. La reazione dell’animale, in genere, lascia completamente sorpresi noi umani: rimane fermo, spaesato, incerto sul da farsi, quasi affezionato alla catena appena tolta. Semplice abitudine alla catena, alla mancanza di libertà, alla sofferenza. In realtà, non si abituerà mai completamente alla nuova situazione, la catena lo accompagnerà per tutta la vita.

Accade lo stesso agli esseri umani. Quando un dolore, sopratutto se mentale, dura a lungo, va ad infilarsi così in fondo nel nostro cervello che, anche quando non avrebbe più tanto motivo di esistere, resiste, ci lascia fermi, spaesati, incerti sul da farsi, quasi come se fosse necessario, o fosse una parte ormai naturale della nostra esistenza. Esattamente come accade agli animali. E così, capita che un giorno, mentre spazzi via le foglie gialle e arancioni che ormai ricoprono il pavimento della veranda come un tappeto croccante, senti arrivare quella sensazione, così familiare, così normale, che ti riempie il cervello e il cuore. È quel banalissimo dolore che conosci così bene, quello che non volevi sentire, quello al quale non volevi abituarti, quello che ora, forse, non avrebbe motivo di esistere, e invece eccolo, si presenta come se fosse uno di casa, ti dice che in fondo è parte di te, perché mai dovrebbe andare via? E, mentre lo accompagni gentilmente alla porta, gli spieghi che non hai bisogno di lui e gli suggerisci di andare in vacanza in un posto lontano, con ribrezzo, senti che, in fondo, in fondo, in fondo, un po’ ti eri affezionata a lui.

Donne du du du.

8 Mar

Buoni propositi dall’8 marzo in poi: imparare ad amarsi un po’ di più ed evitare di annullarsi per gli altri; buttare al macero i sensi di colpa per non essere come gli altri vorrebbero; trasformare la rabbia in energia positiva e farla circolare insieme ai globuli rossi; aiutare i sogni con la volontà; far splendere la propria vita e provare gioia nelle piccole cose; scoprire le proprie risorse e valorizzarle, nella vita di tutti giorni, che sia la vita da manager, da casalinga, da single, da accoppiata, con figli, senza figli, con cani, senza cani, con una buona retribuzione, senza salario; coltivare i propri interessi, che siano leggere, scrivere, studiare il comportamento dei lombrichi, cucinare, fare sport, cercare funghi, aggiustare motori, andare allo stadio, contare i granelli di sabbia, poco importa, l’importante è sentirsi bene; uscire dalla tana e guardarsi intorno con curiosità; farsi delle sorprese ogni tanto; non pensare che per sentirsi libere e belle sia necessario far uno spettacolo di burlesque; non pensare che per essere professionali basti una tunica informe; qualche volta, non pensare.

Della felicità e del cemento.

30 Ago

Molti anni fa, nel 1974 il professor Richard Easterlin, che insegnava, e insegna, economia all’Università della California meridionale, esponeva al mondo il suo “paradosso della felicità” o paradosso di Easterlin: in definitiva, nel corso della vita la felicità delle persone non dipende dalle variazioni di reddito, perciò quando aumenta il benessere economico, la felicità dell’uomo aumenta fino ad un certo punto, poi inizia a diminuire. In pratica, si è felici quando si soddisfano i propri bisogni (quelli propri, non indotti dalla società) e tutto ciò che viene dopo, è solo un inutile affanno, un susseguirsi di fatiche che non portano felicità ma perenne e implacabile insoddisfazione, infelicità, per dirla alla Vecchioni “ed il più grande conquistò nazione dopo nazione, e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione perché più in là non si poteva conquistare niente” (la canzone parlava d’altro ma va bene anche in questo caso). Ecco, a me piacerebbe che qualcuno di quegli infelici personaggi che, per esempio, amano radere al suolo pezzi di terra pieni di vita, colline, promontori per buttarci sopra milioni di metri cubi di cemento, ogni tanto, si sentisse un coglione, perché più in là non c’è proprio nulla da conquistare, non ci sono milioni a sufficienza per colmare la sua insoddisfazione, non ci saranno mai, ci sarà solo meno spazio per la felicità degli altri, di quelli che godono nel vedere una bella collina, un bel pezzo di terra pieno di alberi e animali, un bel promontorio che si butta sulle acque limpide, senza cemento. Tutto questo per raccontarvi che dalle mie parti, personaggi evidentemente paradossali, stanno distruggendo e privatizzando uno dei posti più belli di questo mondo, grazie ai beceri, ottusi, arroganti amministratori locali. Un’ingiustizia per tutte le persone che vorrebbero continuare a provare felicità, semplicemente, ammirando la bellezza di questo mondo.  Combattiamo per fermarli.

Se volete saperne di più:

http://www-bcf.usc.edu/~easterl/;

http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_di_Easterlin;

http://gruppodinterventogiuridico.blog.tiscali.it/2010/08/24/cronaca-di-una-speculazione-edilizia-annunciata-malfatano-e-tuerredda/.

Filastrocca di Capodanno.

31 Dic

Filastrocca di capodanno:
fammi gli auguri per tutto l’anno:
voglio un gennaio col sole d’aprile,
un luglio fresco, un marzo gentile;
voglio un giorno senza sera,
voglio un mare senza bufera;
voglio un pane sempre fresco,
sul cipresso il fiore del pesco;
che siano amici il gatto e il cane,
che diano latte le fontane.
Se voglio troppo, non darmi niente,
dammi una faccia allegra solamente.
(Gianni Rodari)

Cari amici che passate di qua, vi auguro una faccia allegra, per le belle cose che il 2010 vi porterà e se, per caso, poco poco, piano piano, in questi giorni la malinconia busserà alla vostra porta, buttatela giù dalla finestra, insieme alle cose che non vi sono piaciute, sarà contenta pure lei di prendersi una lunga vacanza.

Gli astronauti.

26 Set

Dunque, gli astronauti dei quali vi avevo raccontato qualche tempo fa sono, finalmente, atterrati sul nostro pianeta e sulla Terra, perciò, ci sono due genitori freschi, freschi e felicissimi! Qui sul monte, per festeggiare la notizia, abbiamo fatto piovere per due giorni di seguito, perché da queste parti esiste un vecchio proverbio che dice “atterraggio bagnato, atterraggio fortunato” poiché l’acqua è simbolo di vita etc. etc.. Devo dire che i due prodi navigatori delle stelle (da qualche parte saranno pure arrivati, no?) sono proprio belli, quando li ho visti erano già grandi, dal momento che avevano già sei ore di vita sulle spalle, e si vede che in giro per l’universo hanno acquisito una certa saggezza, infatti hanno dormito per tutto il tempo, noncuranti degli spettatori sdilinquiti davanti alla vetrina del loro nido. L’atterraggio è avvenuto il 23 settembre, lo stesso giorno in cui sono nati Julio Iglesias e Bruce Springsteen, ora, considerando i loro predecessori e considerando il fatto che, a prescindere dai nomi famosi sono, comunque, due bei maschioni, immagino che il loro sogno attuale, nel quale la protagonista principale sarà una gigantesca, enorme, stratosferica mammella, li accompagnerà per tutta la vita (sì, cari amici maschi, lo so che sono altre le cose che vi attirano, ci sono anche gli occhi belli, le mani belle, le anime belle e le gambe belle..) e, in ogni caso, qualunque sarà il loro sogno, non posso che augurare a tutti, mamma, papà e nuovi abitanti del pianeta, tanta felicità e ai gemelli dedico due canzoni, una per l’animo romantico e una per l’animo rock, iniziate a ballare, ragazzi!

Vacanza in panchina.

14 Ago

giraffa

Amo le panchine, sono una panchinara, le ho usate da ragazzina, le uso e quando, in un angolo apparentemente abbandonato della città, trovo una panchina, sono contenta perché mi sembra quasi un piccolo salotto, un invito ad accomodarsi, magari all’ombra di un bell’albero, e guadagnare un po’ di tempo per sé e per gli altri, senza ansie, senza paranoie, senza troppe preoccupazioni, come in una piccola vacanza. Sulla panchina si può leggere un libro, si possono guardare le navi che arrivano e ripartono, le stelle cadenti o ben appiccicate al cielo, le case lontane, in buona compagnia si può addirittura pranzare ammirando le auto che passano accanto, si può chiacchierare o, semplicemente, apprezzare il fatto di esserci, godere di essere lì in quel momento, essere felici, senza pensare a tutto quello che rimane momentaneamente lontano dalla panchina. Insomma, la vacanza può essere anche su una vecchia panchina, magari nera a onde, dove magari i ragazzini scrivono ancora cose come “pasticcino, ti amo più di una pasta” e fanno sorridere le vecchie giraffe.

Oggi stare in panchina è un’anomalia sociale più grave, se chi si siede si sottrae non solo alle regole non scritte dell’efficienza, ma allo sguardo degli altri. Se non si è anziani, donne incinte o con carrozzina, se si è maschi o femmine adulti, chi sta in panchina è poco raccomandabile. Nel migliore dei casi si è disoccupati, sfaccendati, vite di riserva. Eppure è l’ultimo simbolo di qualcosa che non si compra, di un modo gratuito di trascorrere il tempo e di mostrarsi in pubblico, di abitare la città. La panchina è il margine del mondo, vacanza di chi non va in vacanza, ma anche il posto ideale per osservare quello che accade: ovunque sia, è il centro dell’universo”.

( Beppe Sebaste, La Repubblica 12 agosto 2007)