Sono le sei di pomeriggio di un’estate caldissima, in una Hammamet affollata di turisti, giovani del posto che fanno le “vasche” sul lungomare, viaggiatori di tutte le nazionalità, negozi che espongono ninnoli, cianfrusaglie e qualche bel pezzo di artigianato locale, l’aria è dolce, sa di gelsomino, zenzero, cannella, e la luce del sole rende i colori della città ancora più vivi, quasi liquidi. Siamo negli anni novanta, tutto deve ancora succedere. La devastazione totale delle nostre menti “globalizzate”, la follia, e la paura, sono ancora in letargo, ma vengono nutrite silenziosamente da qualche oscuro demone, che riesce a provare piacere solo con l’infelicità del mondo. Ma oggi, in questo viale affollato, siamo ancora ingenui, fiduciosi e curiosi di scoprire nuove culture, di conoscere nuove persone, di assaggiare cibi diversi dagli adorati spaghetti. Siamo illusi, senza esserne consapevoli. In questo caldo pomeriggio, pieno di sole, abbiamo soltanto voglia di annusare l’aria e camminiamo senza una meta particolare, ascoltando il suono di mille lingue che si sovrappongono, italiano, francese, arabo, tedesco, russo, affascinati dall’armonia che nasce da tutta quella mescolanza di vocali e consonanti. Osserviamo le persone che ci stanno intorno, le persone del luogo, gli stranieri, niente fa pensare che quell’oscuro demone stia lavorando in silenzio. Guardiamo le vetrine dei negozi e la nostra attenzione si sofferma su una bella esposizione di tappeti, kilim, macramè, berberi, ne abbiamo visti tanti durante questi giorni, sopratutto nella affascinante Kairouan, ma non ci stanchiamo di ammirarli. Mentre siamo davanti alla vetrina, e indichiamo questo o quel tappeto, un uomo sui quarant’anni, probabilmente il proprietario, esce dalla porta d’ingresso e, con un italiano quasi perfetto, ci invita ad entrare, in modo da vedere l’intera esposizione. Entriamo, senza pensarci troppo, e ci rendiamo conto che il negozio è praticamente vuoto, a parte noi tre, due donne, o meglio una ragazzina e una donna, e un uomo sconosciuto, in terra straniera. L’uomo, un commerciante decisamente sveglio ed esperienza in tecniche di vendita acquisita sul campo, ci mostra altri, splendidi, tappeti e dopo qualche minuto ci invita a seguirlo in un’altra sala “vi offro un bicchiere di tè alla menta, vi piace?”, noi non lo abbiamo mai assaggiato, e lo seguiamo, anche in questo caso senza pensarci troppo. “Accomodatevi” e indica due poltroncine, posizionate, insieme a due sedie, intorno ad un piccolo tavolino in legno, tondo e basso, sono decisamente comode. L’uomo continua a chiacchierare mentre prepara il tè, lo versa in piccoli bicchieri decorati, simili a quelli che un tempo si usavano dalle nostre parti per offrire il rosolio durante le mitiche feste di fidanzamento “in casa”, e li poggia su un vassoio d’argento decorato. Lui prende posto su una delle sedie, accanto alle nostre poltroncine, e continua a conversare amabilmente e così, io e mia madre, per la prima volta nella nostra vita, assaggiamo il tè alla menta, caldo e dal profumo intenso. Ha un gusto delicato, è dolce (ma quando ha messo lo zucchero? Era zucchero? Rimarremo per sempre con il dubbio) ed è ottimo. Ancora qualche chiacchiera e poi decidiamo di andare, l’uomo ci saluta con un sorriso allegro, ci accompagna verso l’uscita e, gentilmente, ci augura buon viaggio “divertitevi al Bardo e non dimenticate di visitare Sidi Bou Said!”. Lui non ha venduto neanche un tappeto e noi abbiamo gustato il migliore tè alla menta della nostra vita. Non sarà più così, non avrà più quel gusto, mai più. Nel frattempo, infatti, il demone ha iniziato a godere e gli uomini lo hanno assecondato.
Idioti, avete, abbiamo, rovinato tutto.
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