Nei giorni scorsi, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per i fatti della Diaz, avvenuti durante il G8 del 2001, quando la polizia italiana massacrò i manifestanti inermi all’interno della scuola Diaz di Genova. Ce li ricordiamo bene quei fatti, no? Ce la ricordiamo la “macelleria messicana”, vero? Come raccontò il vice-questore aggiunto Michelangelo Fournier (udienza del 13 giugno 2007) “Arrivato al primo piano dell’istituto ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana. Sono rimasto terrorizzato e basito quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo. Fu a quel punto che gridai: ‘basta basta’ e cacciai via i poliziotti che picchiavano. Intorno alla ragazza per terra c’erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze“.
Per quei fatti, già nel 2012, la Cassazione con la sentenza n. 38085 confermò le condanne della Corte d’Appello di Genova, per falso aggravato, nei confronti di alcuni alti funzionari della Polizia di Stato coinvolti nella vicenda (reclusione e pena accessoria dell’ interdizione dai pubblici uffici) riportando nella motivazione lo scempio fatto dagli uomini incaricati di tutelare la sicurezza nazionale. Una delle pagine più buie della nostra democrazia: 93 persone ingiustamente arrestate, e tra queste 87 subirono lesioni, due furono dichiarate in pericolo di vita, a causa della furia degli agenti di Polizia, per un comportamento ben descritto dalla stessa Cassazione, come un “puro esercizio di violenza“, caratterizzato da un “massacro ingiustificabile da parte degli operatori di polizia” , e ancora“l’assoluta gravità sta nel fatto che le violenze, generalizzate in tutti gli ambienti della scuola, si sono scatenate contro persone all’evidenza inermi, alcune dormienti, altre già in atteggiamento di sottomissione con le mani alzate e, spesso, con la loro posizione seduta, in manifesta attesa di disposizioni, così da potersi dire che si era trattato di violenza non giustificata e punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime“.
Ce le ricordiamo anche le parole di De Gennaro (all’epoca dei fatti capo della Polizia (assolto) e poi Sottosegretario del Governo Monti) che, in seguito alla sentenza, espresse “un sentimento di affetto e di umana solidarietà per quei funzionari di cui personalmente conosco il valore professionale e che tanto hanno contribuito ai successi dello Stato democratico nella lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata“, senza nemmeno una parola per le vittime dei soprusi, le quali, di sicuro, non erano né terroristi né appartenenti alla criminalità organizzata.
E oggi, arriva la sentenza della Corte europea nei confronti dell’Italia, perché quei fatti possono essere qualificati come “tortura” e perché la mancata punizione dei colpevoli è dovuta alla mancanza di leggi al riguardo, che agevola la commissione di soprusi da parte delle forze dell’ordine.
Sentenza doverosa, dura, dolorosa, giusta e, allo stesso tempo, ingiusta. Ingiusta per tutti gli italiani onesti, perché gli autori di quello scempio della dignità umana e della democrazia hanno un nome e un cognome, un volto, e hanno scatenato la propria ferocia non in nome degli italiani, non per la sicurezza nazionale, ma in nome dei propri istinti, delle proprie frustrazioni e sarebbe bastato un briciolo di cervello (se non di umanità, probabilmente sentimento troppo evoluto) per evitare l’umiliazione di quelle povere vittime e di tutti gli italiani. Non l’avete fatto in nome mio.
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