Nei giorni scorsi, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per i fatti della Diaz, avvenuti durante il G8 del 2001, quando la polizia italiana massacrò i manifestanti inermi all’interno della scuola Diaz di Genova. Ce li ricordiamo bene quei fatti, no? Ce la ricordiamo la “macelleria messicana”, vero? Come raccontò il vice-questore aggiunto Michelangelo Fournier (udienza del 13 giugno 2007) “Arrivato al primo piano dell’istituto ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana. Sono rimasto terrorizzato e basito quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo. Fu a quel punto che gridai: ‘basta basta’ e cacciai via i poliziotti che picchiavano. Intorno alla ragazza per terra c’erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze“.
Per quei fatti, già nel 2012, la Cassazione con la sentenza n. 38085 confermò le condanne della Corte d’Appello di Genova, per falso aggravato, nei confronti di alcuni alti funzionari della Polizia di Stato coinvolti nella vicenda (reclusione e pena accessoria dell’ interdizione dai pubblici uffici) riportando nella motivazione lo scempio fatto dagli uomini incaricati di tutelare la sicurezza nazionale. Una delle pagine più buie della nostra democrazia: 93 persone ingiustamente arrestate, e tra queste 87 subirono lesioni, due furono dichiarate in pericolo di vita, a causa della furia degli agenti di Polizia, per un comportamento ben descritto dalla stessa Cassazione, come un “puro esercizio di violenza“, caratterizzato da un “massacro ingiustificabile da parte degli operatori di polizia” , e ancora“l’assoluta gravità sta nel fatto che le violenze, generalizzate in tutti gli ambienti della scuola, si sono scatenate contro persone all’evidenza inermi, alcune dormienti, altre già in atteggiamento di sottomissione con le mani alzate e, spesso, con la loro posizione seduta, in manifesta attesa di disposizioni, così da potersi dire che si era trattato di violenza non giustificata e punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime“.
Ce le ricordiamo anche le parole di De Gennaro (all’epoca dei fatti capo della Polizia (assolto) e poi Sottosegretario del Governo Monti) che, in seguito alla sentenza, espresse “un sentimento di affetto e di umana solidarietà per quei funzionari di cui personalmente conosco il valore professionale e che tanto hanno contribuito ai successi dello Stato democratico nella lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata“, senza nemmeno una parola per le vittime dei soprusi, le quali, di sicuro, non erano né terroristi né appartenenti alla criminalità organizzata.
E oggi, arriva la sentenza della Corte europea nei confronti dell’Italia, perché quei fatti possono essere qualificati come “tortura” e perché la mancata punizione dei colpevoli è dovuta alla mancanza di leggi al riguardo, che agevola la commissione di soprusi da parte delle forze dell’ordine.
Sentenza doverosa, dura, dolorosa, giusta e, allo stesso tempo, ingiusta. Ingiusta per tutti gli italiani onesti, perché gli autori di quello scempio della dignità umana e della democrazia hanno un nome e un cognome, un volto, e hanno scatenato la propria ferocia non in nome degli italiani, non per la sicurezza nazionale, ma in nome dei propri istinti, delle proprie frustrazioni e sarebbe bastato un briciolo di cervello (se non di umanità, probabilmente sentimento troppo evoluto) per evitare l’umiliazione di quelle povere vittime e di tutti gli italiani. Non l’avete fatto in nome mio.
Nel 2010, le donne uccise dai propri compagni, o ex compagni, o parenti, sono state 127, nel 2011 139 e, dalle notizie di cronaca nerissima, sembra che il 2012 regga bene il confronto con gli anni che l’hanno preceduto: ogni giorno, leggiamo di donne uccise da uomini con i quali hanno o hanno avuto rapporti personali stretti, di donne violentate da uomini sconosciuti, di donne perseguitate da ex compagni o da sconosciuti, si chiama stalking ma persecuzione rende meglio l’idea di angoscia e terrore che ingenera nelle donne. Sembra quasi un bollettino di guerra ma non si capisce bene quale sia il bottino finale poichè dalle battaglie tra uomini e donne escono solo feriti e perdenti: in primo luogo, le donne direttamente vittime delle violenze, fisiche o psicologiche, che perdono la vita, la dignità, la serenità, la fiducia in sé stesse e nel prossimo e, a seguire, i figli, se ci sono e se sopravvivono, che potranno crescere con un’idea alterata del rapporto tra un uomo e una donna; i genitori, se ci sono e se sopravvivono, che vivranno nel dolore e nell’odio; i nuovi compagni, gli amici, le persone care e infine gli uomini vittime della propria rabbia e dell’incapacità di gestire rapporti personali che si evolvono in maniera diversa da come avevano progettato. L’unico bottino di questa guerra è il virus dell’infelicità, difficile da debellare, se non con l’impegno di tutti noi, altrimenti dovremo spartircelo per molti anni ancora e per altrettanti anni ci sarà bisogno dell’otto marzo per ricordare che le donne non sono esseri superiori, non sono più speciali degli uomini, non vanno “amate e non capite”, sono semplicemente metà della popolazione mondiale e, insieme agli uomini, fanno andare avanti la vita su questa benedetta Terra.
Per riportare l’attenzione su un’opera tanto inutile quanto distruttiva come qualla del TAV (Treno ad Alta Velocità che dovrebbe coprire, per ora, la tratta Lione – Torino) deve necessariamente capitare la tragedia umana, o quasi, qualcuno deve andare in coma, qualcuno deve lanciare un sasso, una molotov, una bottiglia rotta, un insulto grave sugli agenti della polizia, altrimenti, la distruzione di un territorio, del suo ambiente e della sua economia, da sola, non fa notizia. E, ovviamente, l’episodio “forte” è sempre un’ottima scusa per concentrare l’attenzione sugli “estremisti”, come Luca Abbà, l’uomo caduto dal traliccio dell’alta tensione sul quale si era arrampicato per manifestare, ancora una volta, contro la realizzazione della TAV. Il solito estremista, eh già. Peccato, che a quell’estremista verranno espropriati i terreni sui quali svolge la propria attività di agricoltore ma, tant’è, Luca Abbà, in nome di poteri tanto forti quanto ottusi, si dovrà pur fare una ragione e trovare un altro lavoro, senza garanzie, sia chiaro, perché in tempi di crisi non è che il governo può dare troppe tutele, tutt’al più può piangere per lui e per la sua triste sorte. Il problema, quindi, è isolare le spinte estremiste, possibilmente, fa cadere il silenzio su tutta la faccenda e sventrarla una buona volta quella montagna, e che sarà mai?
– il TAV è un’opera inutile per una serie di motivi: – al traforo del Frejus, il traffico merci della ferrovia esistente è sceso nel 2009 a 2,4 milioni di tonnellate
Si tratta di poco più di un decimo del traffico di 20 MT che erano previsti all’orizzonte del 2010, dalla dichiarazione di Modane dei ministri dei trasporti italiano e francese.
–L’insieme del traffico merci dei due tunnel autostradali del Frejus e del Monte Bianco è sceso nel 2009 a 18 MT, come nel 1988, cioè 22 anni fa (…) non c’è ragione di costruire delle nuove infrastrutture. – A fronte della inconsistenza delle motivazioni, vi è l’insostenibilità del costo: per la parte comune italo-francese, che comprende il tunnel di base, il dossier presentato alla Unione Europea nel 2007, che rappresenta ancora il documento più attendibile essendo stato firmato dai due ministri competenti, preventiva, al gennaio 2006, il costo di 13,950 miliardi di euro correnti, comprensivi cioè degli oneri finanziari che si formano durante l’arco dei lavori, considerando che prima che l’opera sia finita decorrono gli interessi sulle parti già costruite. – Per la tratta italiana sino al raccordo con Torino, per cui non esiste il confronto con dati ufficiali più recenti, il costo in euro correnti ricavabile dal dossier presentato alla Unione Europea è di 5 miliardi, in valuta del gennaio 2006. A questi vanno sommati gli 0,8 miliardi di euro di opere tecnologiche. Il totale dei costi a carico dell’Italia per la Torino-Lione sarebbe di almeno 17 miliardi di euro. – Le merci della nuova Torino-Lione non possono attraversare le gallerie del nodo di Torino, perché le normative di sicurezza impediscono il passaggio contemporaneo di passeggeri e merci nelle gallerie che passano sotto la città. Pertanto sarà necessaria la costruzione di una “Gronda merci” a Nord e Nord-Ovest della città. – I fondi necessari per la Torino Lione sono direttamente sottratti ad altri interventi.
Già con i primissimi finanziamenti necessari al tunnel geognostico di Chiomonte si è cominciato a prelevare dai fondi che erano già destinati ad altri capitoli di spesa: in questo caso all’ art. 6 del DL 112/2008, che assegnava risorse alla messa in sicurezza delle scuole, alle opere di risanamento ambientale e all’innovazione tecnologica.
L’economista Marco Ponti, insieme ad altri, ha calcolato che sulla base dei soli preventivi esistenti, la Torino-Lione costerà 1300 euro per ogni famiglia media italiana di quattro persone. – Le due perizie più autorevoli fatte sulla Torino-Lione sono quella commissionata dal Ministro dei Trasporti francese a Christian Brossier ed ad altri due esperti del Conseil Général des Ponts et Chaussées, e resa pubblica a maggio 1998. Vi è poi quella del cosiddetto “audit” sui grandi progetti ferroviari, commissionato dal Governo francese al Conseil Général des Ponts et Chaussées, presentata a maggio del 2003: entrambe hanno stroncato decisamente il progetto. In Italia non è mai stata fatta una analoga verifica. – Il rapporto Brossier dice che “occorre attendere l’evoluzione del contesto internazionale e particolarmente in Svizzera ed Austria, prima di intraprendere un nuovo traforo sotto le Alpi”; che il nuovo tunnel per il TGV e l’autostrada ferroviaria sulla Torino-Lione “non sono una priorità”, e che “conviene intervenire sulla linea esistente”. – Marco Ponti, professore di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano, Marco Boitani, professore di Economia Politica all’Università di Milano e Francesco Ramella, ingegnere di trasporti, tutti e tre importanti articolisti su giornali economici come “Il Sole 24 Ore”, hanno pubblicato nel 2007 un lungo saggio dal titolo “Le ragioni liberali del No alla Torino-Lione”, che sottolinea “la inesistenza di una domanda passeggeri merci tale da giustificare questa linea”. Per Marco Ponti, che è stato il primo, nel 2005, a calcolare il preventivo per la nuova linea in 17 miliardi di euro di allora, “questo progetto non andava neppure presentato“. Se lo si fosse ascoltato, l’Italia avrebbe già risparmiato spese per mezzo miliardo di euro. –Una ricerca svolta all’Università di Siena da M. Federici e continuata da M.V. Chester e A. Horvarth sottolinea che “Il trasporto ferroviario è peggiore del trasporto stradale per le emissioni di CO2, particolato ed SOx, mentre sono confrontabili i valori di altre specie gassose. Il TAV mostra valori sistematicamente peggiori del trasporto ferroviario classico e la causa è da ricercarsi nella eccessiva infrastrutturazione del TAV e nella eccessiva potenza dei treni: un TAV emette il 26% di CO2 in più rispetto ad un treno classico ed il 270% in più rispetto ad un camion. Quindi da un punto di vista energetico ambientale il trasferimento delle merci dalla gomma al TAV non trova nessuna giustificazione. Questi risultati, relativi al tratto Bologna-Firenze, sono assolutamente applicabili anche al progetto della Val di Susa, in entrambi i casi si tratta di opere assolutamente sproporzionate ed ingiustificate rispetto al carico di trasporto che possono avere”. – La Valle di Susa ospita già la linea ferroviaria internazionale del Frejus il cui binario di salita è stato terminato solo nel 1984 e su cui, da sempre, si susseguono lavori di ampliamento ed ammodernamento, per mantenerla ai massimi livelli di efficienza. Sino al 2000 è stata la seconda ferrovia come volume di traffico con l’estero, poi ha cominciato a calare ed a perdere posizioni. I lavori effettuati tra il 2002 ed il dicembre 2010 l’hanno riportata ai migliori livelli di funzionalità tra i tunnel ferroviari esistenti, ma nella tratta alpina è stata utilizzata negli ultimi tre anni mediamente per meno di un quarto della sua capacità. Sembra ovvio che prima di costruire nuove infrastrutture si debba dimostrare di saper sfruttare quelle esistenti. – La procedura di VIA è stata snaturata sopprimendo il decreto di compatibilità ambientale da parte del Ministero dell’ Ambiente e del Ministero dei Beni Culturali ed affidando la istruttoria al Ministero delle Infrastrutture. Si tratta di procedure illegittime che violano le disposizioni di legge nazionali e le direttive comunitarie, perché il CIPE, che ora decide la compatibilità ambientale, è un organo tecnico economico molto allargato che decide a maggioranza e che, in campo ambientale, non ha né prevalenti interessi né prevalenti competenze. Non c’è più corrispondenza tra la legge applicata e quella che ha recepito le direttive dell’Unione Europea: di fatto non c’è più la garanzia di tutela ambientale tutelata dall’Unione Europea. – Il progetto della Torino-Lione è stato presentato a pezzi e per la procedura di VIA questo è illegittimo, perché impedisce di valutare l’insieme degli impatti dell’opera finale. A maggio 2010 è stato presentato il tunnel geognostico, che poi si è ammesso che sarà parte dell’opera principale;
– I cantieri danneggiano gravemente la salute degli abitanti: lo stesso studio di VIA presentato da LTF calcola un incremento del 10% nell’incidenza di malattie respiratorie e cardiovascolari a causa dei livelli di polveri sottili prodotte dai cantieri. In base alle statistiche attuali questo aumento corrisponde a 20 morti in più all’anno. – La gravità della sottrazione di risorse idriche è proporzionale alla quota bassa a cui si effettua l’opera: sotto questo aspetto la nostra situazione è nettamente peggiore che nel Mugello. Là furono riscontrati dissesti sino a 3300 metri per lato (erano previsti solo per 3-400 metri a lato) qui, l’imponenza dello scavo fa presumere un impatto di dimensioni ora non prevedibili. –La valle resiste da oltre 20 anni perché vi è una opposizione consapevole: perché ha esperienza di cosa significhino grandi opere e perché da sempre vive accanto ai trasporti e ne conosce i problemi reali. Infine perchè si è formata una diffusa conoscenza dei progetti che vengono presentati. Negli ultimi 10 anni ci sono state una decina di grandi manifestazioni con la partecipazione, ogni volta, di almeno 30.000 persone ed una raccolta di 32.000 firme realizzata in poco più di un mese. Nell’anno 2010 si può fare il confronto tra le 30.000 persone che a gennaio hanno sfilato a 3 gradi sotto zero, ed i 320 voti presi dal candidato Si Tav alle elezioni regionali dello stesso anno.
Lo Stato italiano non ha mai ascoltato e continua a non voler ascoltare le ragioni dei cittadini (e ricordiamoci anche dei partiti sostenitori dell’opera, tutti uniti PDL, PD, UDC) e allora, chi sono gli estremisti?
Sul sito NO TAV Torino trovate informazioni molto dettagliate sul progetto e sulle manifestazioni, troverete anche un appello da inviare al Capo del Governo Monti, da sottoscrivere in tanti!
È bastata una manifestazione, una massa di popolo più numerosa del solito e più indignata del solito, a far perdere la bussola, se mai ce l’hanno avuta, ai nostri politici che, finalmente, tutti insieme, governo, opposizione, malpancisti, malmostosi, responsabili, irresponsabili tutti, hanno trovato un punto comune dal quale iniziare per far ripartire il Paese: la legge Reale. Hanno buttato nel comodo sanitario di ceramica bianca che arreda i nostri bagni la crisi economica, hanno tirato l’acqua e squash, è venuto a galla il vero problema dell’Italia: l’ordine pubblico, il caro, vecchio, sempreverde ordine pubblico, ottimo per distogliere l’attenzione dai problemi reali e per tappare la bocca a chiunque. Chiunque ragioni, ovviamente. Dopo i fatti di Roma, dove un gruppo di teppistelli durante una manifestazione pacifica è riuscito tranquillamente a devastare le vie della città, e a nessuno è venuto in mente di bloccarli, a nessuno viene nemmeno in mente di ascoltare le ragioni dei manifestanti pacifici ma arrabbiati, o meglio, a tutti fa comodo non ascoltarle e pensare ai teppisti. E sì, perché per un Paese che ha avuto a che fare con BR, fascisti di ogni tipo, picchiatori di ogni specie, e che, ogni giorno, ha a che fare con mafia, ‘ndrangheta, camorra, è difficile fermare un gruppo di teppisti durante una manifestazione che si svolge alla luce del sole, è DIFFICILISSIMO, perciò va rivista la legge sull’ordine pubblico, anzi, secondo Di Pietro va proprio rispolverata la legge Reale (mai abrogata) abbondantemente utilizzata negli anni più bui della nostra storia moderna, quelli del terrorismo, gli “anni di piombo”, quando il piombo veniva servito con l’insalata e con gli spaghetti. Oggi, però, non siamo negli anni di piombo, e con il ritorno a vecchi metodi da regime la tentazione di ribellarsi diventerebbe ancora più forte, con conseguenze imprevedibili. Noi non lo vogliamo, vogliamo solo che aprano la porta e tornino a casa loro, in tempi brevi, perchè è arrivato il momento.
Wangari Maathai era una persona straordinaria, nel vero senso della parola, una di quelle persone di cui si butta via lo stampo appena vengono al mondo e che al mondo regalano generosamente il proprio cuore e le proprie energie. Era bella dentro e fuori, con il suo sorriso solare e i suoi abiti sgargianti che, solo a vederli, mettevano subito il buonumore. Nel 2004 riceve il Nobel per la pace, per aver contribuito alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace, grazie al suo impegno contro la deforestazione e alla lotta per i diritti civili e in particolare delle donne. E che impegno: con l’associazione no profit da lei fondata nel ’77, Green Belt Movement, è riuscita a piantare trenta milioni di alberi nel continente africano, ma la sua vita, finita due giorni fa, è stata così ricca da non poter essere riassunta in poche parole (sotto trovate diversi siti che ne parlano).
Forse la favola che lei stessa racconta nel video, fa capire chi era Wangari Maathai, un piccolo, grande colibrì:
È la storia di un colibrì e di un’immensa foresta divorata dal fuoco. Tutti gli animali escono dalla foresta e rimangono paralizzati, mentre guardano la foresta bruciare e sentono di essere impacciati, impotenti, tranne un piccolo colibrì. Lui dice “devo fare qualcosa per questo fuoco” e così vola fino al torrente più vicino prende un po’ d’acqua e la butta sul fuoco, e va su e giù, su e giù più veloce che può. Nel frattempo, tutti gli altri animali, alcuni di loro molto grossi, come gli elefanti, con una grande proboscide, che potrebbero portare molta più acqua, stanno lì, impotenti, inermi, e dicono al colibrì: ma cosa pensi di fare? Sei troppo piccolo! Questo incendio è troppo grande, le tue ali sono piccole, il tuo becco è così piccolo, puoi portare solo un po’ d’ acqua alla volta. Ma mentre loro continuano a scoraggiarlo, lui torna da loro, senza perdere tempo, e dice: “io faccio del mio meglio e questo, secondo me, è quello che ognuno di noi dovrebbe fare”. Tutti noi dovremmo sempre fare come il colibrì. Io posso sentirmi insignificante, ma di sicuro non voglio essere come gli altri animali della foresta, che guardano mentre il pianeta va in fumo. Io sarò un colibrì e farò del mio meglio.
La mia educazione infantile, fortunatamente, non ha previsto l’uso di punizioni corporali, niente schiaffi in pieno viso, niente ceci sulle ginocchia o simili. Solo una volta capitò un episodio spiacevole e ancora lo ricordo, non tanto per il dolore, perché comunque non si trattò di una cosa particolarmente violenta, quanto per l’offesa e ricordo che pensai soltanto “ma come si permette? Non può sgridarmi e basta?”, no, evidentemente, non poteva. Purtroppo, non tutti hanno avuto la mia fortuna ed è da quando ho memoria che sento storie di bambini educati con particolare severità, durezza, rigore, diciamo pure violenza, che è il termine più adatto, sono storie di circa sessant’anni fa, quando l’infanzia era lieta solo fino ai cinque anni di vita, poi diventava infanzia livida. Ogni volta, quei racconti mi facevano e mi fanno venire in mente la stessa domanda “ma come si permette?”, i bambini hanno una dignità pari a quella degli adulti e va rispettata, da chiunque, da chi li ha generati, da chi li educa, da chi si prende cura di loro, nessuno può permettersi di umiliarli con la violenza. Ecco perché ho appreso con soddisfazione (e con ritardo, lo ammetto..) che 25 Paesi vietano le punizioni corporali fuori e dentro le mura domestiche: il primo Stato ad avviare il cambiamento è stato la Svezia nel 1979, seguita da Finlandia (1983), Norvegia (1987), Austria (1989), Cipro (1994), Danimarca (1997), Lettonia (1998), Croazia (1999), Bulgaria (2000), Israele (2000), Germania (2000), Islanda (2004), Ucraina (2004), Romania (2004), Ungheria (2005), Grecia (2006), Paesi Bassi (2007), Nuova Zelanda (2007), Portogallo (2007), Uruguay (2007), Venezuela (2007), Spagna (2007), Costarica (2008) e Moldavia (2008). L’Italia non è nell’elenco, non ancora. Come me, neanche il papà italiano in vacanza a Stoccolma con la famiglia, era informato sulla legislazione svedese in materia di maltrattamenti sui minori e ha pensato bene di dare uno schiaffo al proprio figlio dodicenne per strada, davanti a persone meglio informate che hanno chiamato la polizia: «C’erano lì vicino due persone di nazionalità libica, hanno chiamato la polizia che erano nella zona e certo la mancanza reciproca di conoscenza della lingua ha fatto il resto, ma tutto questo, avendo anche sentito i testimoni italiani dell’accaduto, sembra davvero assurdo, esagerato». Non c’è bisogno di essere poliglotti per riconoscere uno schiaffo e il papà rimarrà in Svezia ad attendere il processo.
Il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia definisce le punizioni corporali come “qualsiasi punizione per la quale viene utilizzata la forza fisica, allo scopo di infliggere un certo livello di dolore o di afflizione, non importa quanto lieve. Nella maggior parte dei casi consiste nel colpire (“picchiare”, “schiaffeggiare”, “sculacciare”) i bambini, utilizzando la mano o un utensile – frusta, bastone, cintura, scarpa, cucchiaio di legno, ecc. Può però anche consistere, per esempio, nel dare calci, scossoni, spintoni al bambino, oppure graffiarlo, pizzicarlo, morderlo, tirargli i capelli o le orecchie, obbligarlo a restare in posizioni scomode, provocargli bruciature, ustioni o costringerlo con la forza ad ingerire qualcosa (per esempio, sciacquargli la bocca con il sapone o fargli inghiottire spezie piccanti). Il Comitato ONU ritiene che la punizione corporale sia in ogni caso degradante, e che altre forme di punizioni non fisiche siano ugualmente crudeli e degradanti e pertanto incompatibili con le disposizioni della Convenzione. Tra queste figurano, per esempio, le punizioni che mirano a denigrare il bambino, umiliarlo, sminuirlo, disprezzarlo, farlo diventare un capro espiatorio, minacciarlo, spaventarlo o schernirlo.
Lo Stato italiano non ha bisogno di black bloc incappucciati, sporchi, brutti e cattivi. Lo Stato, in molte circostanze, impone d’imperio le proprie ragioni, agisce, talvolta, con black block in giacca e cravatta, che usano le parole come se fossero bombe incendiarie lanciate su un ammasso di cenci ricoperti di benzina (un esempio recente è quello del ministro che, senza nemmeno ascoltare una parte dei cittadini da lui amministrati, li definisce “l’Italia peggiore”) ed è sordo a qualsiasi tipo di domande, riflessioni, esigenze provenienti dal popolo ed espresse in modo pacifico. Questo comportamento, non so dalle vostre parti, ma qui sul monte, lo consideriamo enormemente violento e prepotente, intollerabile in una democrazia vera. Quello che sta accadendo nella Val di Susa è intollerabile, la violenza è intollerabile, lo è quella dei black bloc incappucciati e lo è quella dei black block in giacca e cravatta, entrambi usano poliziotti e operai come vittime sacrificali di una situazione esplosiva che, in concreto, nessun rappresentante dello Stato si è mai impegnato a risolvere serenamente, rinviando, e quindi incentivando, di giorno in giorno l’esplosione. Se non ci fosse stato il referendum sul nucleare e lo Stato, senza ascoltare le mie ragioni, cioè le ragioni della maggioranza dei cittadini italiani, avesse deciso di realizzare una centrale o un deposito di scorie dietro casa mia, be’, presumibilmente, mi sarei arrabbiata parecchio e mi sarei incatenata alle ruspe, poi, non so cos’altro sarei stata in grado di fare, sinceramente, non lo so proprio. Però, so per certo che i black block statali avrebbero mandato qualcuno per farmi allontanare, con le buone e con le cattive, pessime maniere, e allora, in questo comportamento, dove sta la democrazia?
I risultati degli ultimi referendum, così come delle ultime elezioni amministrative, sono stati possibili soprattutto grazie alla straordinaria mobilitazione di noi cittadini attraverso internet, con la costante diffusione di informazioni, dati, riflessioni, ognuno di noi, come una piccola ape laboriosa, ha impollinato la Rete con piccole gocce di senso civico che, alla fine, si sono trasformate in un bellissimo mare. Noi lo sappiamo ma lo sanno anche Loro, ecco perché vogliono limitare la libertà d’espressione sul web, e lo vogliono fare in modo subdolo e silenzioso, come accade nelle peggiori democrazie deviate: L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni con la Delibera 668/2010 del dicembre 2010 ha posto in consultazione un testo che mira ad introdurre un meccanismo che le consentirà di inibire completamente l’accessibilità ai siti posti fuori dal territorio italiano e di rimuovere contenuti sospettati di violare il diritto d’autore in modo automatico e prescindendo da qualsiasi requisito di colpevolezza accertato dell’Autorità giudiziaria. Ora, quel testo è pronto per essere approvato, presumibilmente il 6 luglio prossimo, fermiamoli cn ogni mezzo, diffondiamo la notizia, impolliniamo nuovamente la Rete con ogni mezzo, perché altrimenti Loro continueranno a decidere sulle nostre teste.
Nel sito http://sitononraggiungibile.e-policy.it/ potete firmare la petizione, promossa da diverse associazioni, tra le quali Adiconsum, Altroconsumo, Assonet, Assoprovider, con la quale si chiede una moratoria sulla nuova regolamentazione del diritto d’autore, fino a quando il Parlamento non sarà in grado di studiare e adottare una legge al riguardo.
Qui sotto vi propongo alcune delle FAQ dello stesso sito, utili per capire in cosa consiste la censura e quali conseguenze potrebbe avere per tutti noi:
Cosa c’è da sapere sulla Delibera 668/2010 dell’AGCOM e il diritto d’autore: A chi si applica, come ci si può difendere, cosa succede per i siti esteri.
1) L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha emanato il 17 dicembre 2010 la delibera n 668 2010 CONS denominata LINEAMENTI DI PROVVEDIMENTO CONCERNENTE L’ESERCIZIO DELLE COMPETENZE DELL’AUTORITA NELL’ATTIVITA’ DI TUTELA DEL DIRITTO D’AUTORE SULLE RETI DI COMUNICAZIONE ELETTRONICA, che affronta le competenze della stessa autorità nel perseguimento delle violazioni del diritto d’autore nel settore della tv, di internet e delle telecomunicazioni
2) La delibera, prevede un sistema di cancellazione e di inibizione di siti internet sospettati di violare il diritto d’autore
3) In particolare i punti dal 3.5 a punto 3.5.4 della delibera istituiscono un procedimento in quattro punti che può terminare con la cancellazione dei contenuti da parte della stessa Autorità o dell’inibizione su ordine dell’Autorità di un determinato sito.
4) Ci sono 60 giorni a partire dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Delibera per formulare osservazioni alla stessa autorità.
1) A chi si applica il provvedimento previsto dall’AGCOM.
A tutti i siti, i portali, i blog, gli strumenti di condivisione di file in rete, le banche dati, i siti privati che siano sospettati di contenere anche un solo file in grado di violare il diritto d’autore.
Lo dice espressamente l’art 2.1 della delibera secondo cui “l’Autorità ritiene quindi che rientrino nella sua attività di vigilanza ai sensi dell’art. 182 bis le violazioni del diritto d’autore perpetrate attraverso l’attività di diffusione radiotelevisiva, nonché attraverso le reti degli operatori di telecomunicazione, e che ad essa perciò competano le azioni di tutela del diritto d’autore sui contenuti immessi nelle reti di comunicazione elettronica (tv, reti di tlc e internet).
E l’art 2.2 prevede che “ L’Autorità, in quanto autorità amministrativa “dotata di poteri di vigilanza”, ritiene pertanto di essere legittimata ad intervenire, in un tempo ragionevole, nei riguardi dei gestori dei siti internet sui quali dovessero essere ospitati contenuti digitali coperti da copyright, senza l’autorizzazione del titolare.”
Non vi è alcuna differenza se il sito o il portale è privato o pubblico o esercita la propria attività per fini di lucro, o sia un sito amatoriale o un blog personale.
In tutti i casi quindi di “uploading” di contenuti su internet, su qualsiasi piattaforma, anche di condivisione, l’Autorità, in caso di sospetta violazione, potrà operare il procedimento di cancellazione o di inibizione mediante il blocco dell’indirizzo IP o del Domain Name Systems.
2) Il fatto di gestire un sito privato o un blog senza alcun fine di lucro è condizione per evitare la cancellazione da parte dell’Autorità in caso di sospetta violazione del diritto d’autore?
No.
Mentre infatti il decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 44 (cd. decreto Romani) aveva espressamente escluso dal campo di applicazione delle norme di vigilanza ( e quindi dalle competenze dell’AGCOM in tema di cancellazione) i siti privati o i siti di distribuzione di contenuti audiovisivi per fini di scambio, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si è attribuita la competenza a decidere anche sui siti privati.
L’Autorità afferma espressamente al punto 2.3 della delibera: “La competenza dell’Autorità in materia di copyright non sembra soffrire sensibili limitazioni dall’esclusione operata dall’art. 2, comma 1, lettera a) ( del decreto Romani n.d.r.) per i “i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da privati ai fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità d’interesse”.
3) Quali tipi di violazioni faranno scattare il provvedimento di cancellazione da parte dell’Autorità?
Tutte le sospette violazioni previste dal diritto d’autore effettuate tramite siti italiani o esteri.
Quindi non solo il caricamento di video cinematografici o musicali ma tutte le sospette violazioni potranno essere soggette al procedimento di cancellazione o di inibizione.
Per comprendere quali contenuti digitali siano soggetti al provvedimento di cancellazione bisogna sapere quali opere siano protette ai sensi degli articoli 1 e 2 della Legge sul diritto d’autore, la legge 633/1941.
Quindi l’Autorità avrà il potere di sottoporre a cancellazione o di inibire l’accesso ai siti che siano semplicemente sospettati di contenere ad esempio:
1) Contenuti giornalisticiespressamente riservati che vengono
riprodotti da fonti successive senza autorizzazione
2) Contenuti giornalistici anche non riservati che non vengono ripresi integralmente da altre testate o giornali ma da siti privati (es blog)
3) Fotografie “artistiche” o video inseriti in siti, portali o blog
4) Contenuti caricati da utenti su piattaforme di condivisione di siti privati
5) Software liberi o meno che contengano componenti ( diverse dalle idee alla base dei programmi ) sospettate di violazione di diritti di autore
6) Banche dati on line pubbliche o private contenenti almeno un file sospetto per il quale non è stata rilasciata l’autorizzazione da parte del titolare
7) Fotografie o video amatoriali caricati nelle piattaforme UGC
contenenti un sottofondo musicale
8 – Video caricati dalle web tv
4) L’utente sospettato quanto tempo avrà per cancellare i file sospetti?
Il titolare del sito dovrà cancellare i file sospetti ( senza alcuna verifica sulla legittimità o meno del contenuto) nel giro di 48 ore, dopodiché avrà 5 giorni di tempo per difendersi davanti l’AGCOM. Questi sia in caso di siti italiani sia in caso di siti esteri. Dopo i 5 giorni i contenuti saranno cancellati dall’Autorità o inibiti dai provider su ordine dell’Autorità.
5) L’utente potrà dimostrare in qualche modo di avere la legittimazione a poter inserire quel file o si potrà difendere in qualche modo sostenendo di non avere colpe?
No.
L’Autorità infatti non prevede, a regime, alcuna indagine su una possibile colpa di colui che ha inserito il file.
Il sistema di cancellazione o di inibizione del sito funzionerà in maniera del tutto autonoma senza alcuna verifica della posizione di colui che ha inserito il file.
Al punto 3.5.4. infatti l’Autorità dice espressamente “L’Autorità ritiene che dopo un iniziale periodo di rodaggio la procedura qui tracciata possa operare in maniera pressoché automatica sulla base dello schema:
segnalazione – verifica – eventuale provvedimento inibitorio essendo fondata su un accertamento della violazione della normativa a protezione del diritto d’autore di tipo puramente oggettivo, che prescinde dalla valutazione di ipotetici elementi soggettivi associati al dolo o alla colpa. Come detto, è sufficiente infatti la verifica della presenza – non autorizzata- su un sito di contenuti protetti da copyright a legittimare l’attivazione delle iniziative di garanzia da parte dell’Autorità nell’ambito della finalità di prevenzione attribuita alla sua azione, in via generale, dal già citato art. 182 bis della legge 22 aprile 1941 n. 633.
6) E per i siti provenienti dall’estero?
I siti provenienti dall’estero sospettati di contenere anche un solo file che viola il diritto d’autore sono parificati ai siti illeciti italiani, senza alcuna ulteriore specificazione, e possono essere al termine della procedura inibiti a livello IP o di nome di dominio.
Il solo fatto di avere i server all’estero e di essere sospettati di aver violato la legge sul diritto d’autore comporterà la “scomparsa” del collegamento a quel sito da parte dell’utente italiano.
In linea teorica anche siti del tutto leciti saranno soggetti all’inibizione o i siti informativi esteri quali testate o giornali sospettate di non aver chiesto l’autorizzazione ai titolari dei diritti.
I siti privati di soggetti che hanno server dislocati al di fuori del nostro paese e che contengono anche un solo file sospettato di violare il diritto d’autore quindi sono parificati come trattamento ai siti pedofili e di gioco d’azzardo e cosi le testate che non abbiamo assolto gli obblighi di versamento delle somme ai titolari del diritto d’autore
7) L’utente potrà rivolgerci a un giudice per evitare la cancellazione dei contenuti dal suo sito?
No.
L’intera procedura di cancellazione e di inibizione prevista dal punto 3.5 della delibera è gestita dall’AGCOM, su ricorso dei privati o delle organizzazioni di tutela dei diritti d’autore e si conclude in 5 giorni, senza alcuna forma di consultazione o di interazione con l’Autorità giudiziaria.
Non ci sono indagini compiute dalla polizia giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale .
Non vi è nemmeno un passaggio dell’intera procedura all’interno del quale venga coinvolto un magistrato.
Non vi sono forme di appello all’autorità giudiziaria.
Tutto ciò nonostante le fattispecie previste dall’AGCOM siano invece già previste come sanzioni penali e civili dalle leggi italiane e soggette come da Costituzione alla verifica da parte di un Giudice.
8 – L’autorità per le garanzie nelle comunicazioni può giudicare dei nostri diritti secondo la nostra Costituzione.
No.
L’autorità per le garanzie nelle comunicazioni non è un giudice e non può esercitare funzioni giudiziarie attribuite solo alla Magistratura dalla nostra Costituzione.
Quattro zampe; un lungo collo per permettere agli occhi di vedere lontano; un cuore troppo distante dalla testa per poter dialogare con il cervello; uno zoccolo duro per non farmi trasportare troppo dai sogni e, allo stesso tempo, per non farli scappare via; un piccolo monte, per accogliere le persone che amo, i nuovi amici e chi passa di qui per caso: benvenuti!
Commenti recenti