Tag Archives: bambini

Quando tutto succede.

25 Mar

BeFunky_Stenciler_3.jpg

I bambini hanno una tempra più forte di quanto si pensi. Loro resistono, resistono a quasi tutto, alle assenze, alle distrazioni, all’infelicità altrui. Magari crescendo, e diventando reperti storici in carne e ossa, si porteranno dietro un po’ di malinconia, e continueranno a resistere. Forse.

 

Il diritto a un papà e una mamma.

11 Nov

Per figli diritto a un papà e una mamma. Irresponsabile creare nuove figure per indebolire famiglia”, parola di Bagnasco, di professione cardinale, presidente della CEI, Conferenza Episcopale Italiana, una persona che, per il ruolo rivestito, fa più tendenza di Lady Gaga (posto che, tra l’altro, ormai Lady Gaga è solo un ricordo annebbiato). Parole ovviamente condivisibili: chi non è d’accordo sul fatto che un bambino abbia bisogno di un papà e di una mamma? Parole, d’altra parte, incomprensibili: quali sarebbero mai le “nuova figure” create per indebolire la famiglia? Lo zio? C’è già. La zia? C’è già. La vicina di casa impicciona? C’è già. Il nonno pedofilo? C’è già. La strega cattiva che fa gli incantesimi brutti brutti brutti? Esiste già, nelle favole, ma comunque esiste. E allora, quali saranno mai le “nuove figure” così nefaste per la Famiglia? Vuoi vedere che si tratta di quei loschi figuri che vogliono fare una famiglia con “papà e papà” o “mamma e mamma”? Mi sa proprio di sì. Eh, già, perché quella gente lì non potrà mai amare un bambino, aiutarlo a crescere, a sentirsi libero e forte in una società sempre più arretrata, come invece riescono a fare i veri “papà e mamma”, maschio alfa femmina beta e viceversa, quelli che, a volte, i bambini non li vogliono proprio? Ma no, non si riferirà a quelli. Un cardinale, un discepolo di quel grande uomo che predicava amore, misericordia, fratellanza, non potrebbe mai neanche dubitare del fatto che a un bambino serva, semplicemente, amore.

Buona fortuna, Nicolas.

6 Ago

giraffa sul pratoNicolas è un bellissimo bambino di due mesi, pieno di capelli neri sulla sua microtesta, con la tutina a righe bianche e rosse e le calzette bianche con le scritte blu, e sta in braccio alla sua giovane mamma, bella pure lei e con lo sguardo un po’ timido. Sono seduti accanto ai gradini di una chiesa della città, sulla via dello shopping, chiedono l’elemosina, in un pomeriggio molto caldo ma, fortunatamente, ventilato e, considerando il fatto che siamo ai confini dell’impero, più vicini all’Africa che alla Padania, be’, quel venticello è una vera benedizione. Cammino sulla stessa via in salita ma nella parte opposta alla chiesa, insieme a mia madre, e notiamo subito il bambino perché piange e la mamma prova a tranquillizzarlo, è una scena come milioni di altre scene del genere, alle quali assistiamo ogni giorno, i bambini piangono e i genitori provano a calmarli ma la cosa turba particolarmente mia madre che accelera il passo e mi supera di parecchi metri. Io non accelero, penso solo che vorrei fare qualcosa, se ne avessi il potere darei una “aggiustatina” alla scena e quella ragazza e il suo bambino starebbero tranquillamente ai giardinetti, a mangiare un gelato su una panchina o comunque a fare quello che desiderano, vorrei abbracciarli entrambi ma non posso, le zampe da giraffa me lo impediscono e pure loro sarebbero impauriti da questo collo gigante che mi ritrovo. Ma qualcosa posso farla. Raggiungo mia madre, proseguiamo la nostra passeggiata tra vetrine tappezzate di manifesti o scritte “tutto al 70%” (rimanenze di magazzini cinesi degli anni ‘50) “tutto al 50%” (pezzi di tela con la vaga forma di giacche e pantaloni), “dal 50% al 70%” (scarpe che, solo a vederle, uccidono l’alluce e il tallone) ma non acquistiamo nulla, non ne avevamo nemmeno l’intenzione, e scendiamo nuovamente sulla via dello shopping. Loro, la giovane mamma e il bambino, sono sempre lì, ma lui ora dorme, mi avvicino, non tanto e non solo per contribuire alle loro finanze domestiche, ma per fare quello che le mie zampe, il mio collo, e il rispetto per gli altri mi impediscono di fare fisicamente, cioè abbracciarli virtualmente e umanamente. Parlo con la ragazza, che all’inizio è un po’ titubante, le chiedo del bambino, quanti mesi ha, come si chiama, e anche lei dialoga, l’italiano è un po’ incerto ma ha voglia di raccontare di suo figlio, di quanto sia buono “mangia e dorme, dorme e mangia”, come tutte le madri del mondo. Parlo con Nicolas, minuscolo e bellissimo con tutti quei capelli neri, «ma sai che sei proprio bello?», lui non mi ascolta ma io glielo dico lo stesso e la ragazza si illumina come se qualcuno avesse acceso un interruttore, auguro buona fortuna a Nicolas e alla sua mamma, e un po’ a me e a tutto noi, per ricordarmi e ricordarci sempre di rimanere umani.

Due giornate per capire e sentirsi meno sole.

27 Mag

scarpe rosse contro violenzaRaramente, capita di partecipare ad un convegno e non avere voglia di sbadigliare in faccia ai relatori o di scappare velocemente allo scoccare dell’ora x, giusto in tempo per accumulare crediti formativi. Capita raramente, ma capita, e una di quelle occasioni è stato il convegno che si è svolto a Cagliari il 24 e 25 maggio scorsi: “Una rete..per difenderci. Tutti insieme contro la violenza”. Ebbene, sono state, veramente, due giornate in cui l’espressione “tutti insieme” è stata riempita di significato e durante le quali il fenomeno della violenza, nei confronti delle donne in quanto tali (per esempio, il femminicidio, l’omicidio di una donna proprio in quanto donna), dei bambini, degli omosessuali, dei transgender, in generale dei soggetti che pur essendo forti in qualche frangente della vita diventano deboli e fragili, è stato affrontato sotto tutti gli aspetti possibili, con grande passione, entusiasmo, professionalità. Lo spunto dal quale è partita la riflessione, è stata l’attuazione dell’atto d’intesa siglato dall’Ordine dei medici e l’Ordine degli avvocati, di Cagliari, nel 2009 e del successivo Protocollo d’intesa sottoscritto nel 2010, oltre che dai due Ordini, dalla Provincia di Cagliari, dal Comune di Cagliari, diverse aziende ospedaliere, e molte altre istituzioni, con la formazione di un “Tavolo interistituzionale per la promozione della rete provinciale contro la violenza e al consolidamento della rete dei soggetti impegnati sul campo per garantire il monitoraggio del fenomeno, la tutela delle vittime ed il contrasto a tutte le forme di violenza sulle donne e i minori”, con gli obiettivi di: 1) conoscere e monitorare il fenomeno della violenza; 2) informare e sensibilizzare ; 3) applicare misure di contrasto alla violenza.

Non capita spesso di vedere riuniti, e confrontarsi, ad uno stesso tavolo, medici, avvocati, rappresentanti della polizia di Stato, dell’arma dei carabinieri, magistrati, volontarie delle associazioni che si occupano di accogliere le donne vittime di violenza, rappresentanti delle Istituzioni, amministratori locali. Soprattutto, non capita che tutte quelle persone, rappresentanti un’Istituzione pubblica, riconoscano le responsabilità di un “sistema” che non tutela sufficientemente le vittime, non punisce i colpevoli e non aiuta psicologicamentele une a ricostruire sé stesse, gli altri ad imparare a rispettare la libertà e la dignità altrui. Un sistema nel quale, per esempio, un processo per stalking viene rinviato di un anno e pure di più, con grave pericolo per la vittima, considerando che le misure cautelari non possono durare in eterno e che, quindi, il bombardamento di telefonate, gli appostamenti, i pedinamenti, già di per sé lesivi della libertà di una persona e snervanti psicologicamente, possono trasformarsi in atti molto più gravi. Un sistema nel quale, per ammissione degli stessi medici, una vittima di violenza sessuale è “un caso rognoso”, perché implica una serie di doveri e responsabilità da parte dei sanitari che non tutti sono disposti ad assumersi. Un sistema nel quale la limitazione della discussione del problema alle sole donne non aiuta e l’unica via possibile è il dialogo, il confronto tra uomini e donne, rappresentanti delle istituzioni e cittadini, operatori sanitari, operatori del diritto, forze dell’ordine, tutti insieme.

In queste rare e importanti occasioni, si impara tanto e ci si forma, soprattutto umanamente. Per esempio, si impara che il fenomeno della violenza sulle donne è molto diffuso nelle classi sociali “abbienti” (non mi piace parlare di classi sociali ma serve a rendere l’idea) però proprio in quegli ambiti le donne, per vergogna, esitano maggiormente a denunciare, spesso non denunciano affatto e si rivolgono solo alle associazioni che le ascoltano e le accolgono. Si impara che le donne straniere, pur nelle mille difficoltà che devono affrontare, in situazioni simili sono paradossalmente un po’ agevolate poiché nel momento in cui viene loro spiegato il diritto di denunciare la violenza e la possibilità di essere accolte insieme ai propri figli, in luoghi protetti e segreti, abbandonano la casa-inferno, e lo fanno con maggiore facilità, non avendo altri legami familiari o sociali forti che le trattengono.

Si impara che l’episodio di violenza non è mai improvviso, ma è sempre preceduto da altri atti, perciò se una donna si reca al pronto soccorso ogni settimana perché le scale di casa la fanno scivolare sempre o le porte le spappolano continuamente il viso, forse è il caso che il medico si faccia qualche domanda. Negli ospedali degli Stati Uniti, per esempio, sottopongono a tutte le donne che si recano al pronto soccorso un questionario con diverse domande, tra le quali alcune relative alle violenze domestiche, in modo tale da far sentire la vittima più libera di raccontare la propria situazione.

Si impara che oggi esiste un codice rosa al pronto soccorso per le donne presunte vittime di violenza.

Purtroppo,  si ha la tristissima conferma che il luogo dell’infelicità, spesso, è la casa in cui si vive, condivisa con il proprio carnefice, la maggior parte delle violenze, infatti, sono messe in atto dal coniuge o dal compagno. Si imparano tante altre cose, forse troppe da inserire in un unico post, ma tra le tante: educhiamo i bambini al rispetto degli altri, parliamo tra di noi. E ascoltiamoci.

Il numero verde nazionale antiviolenza: 1522.

Il Protocollo:
Protocollo_intesa_violenza_donne(1)

L’infinita tristezza di quella Culla.

7 Lug

Alla clinica Mangiagalli, la “Culla per la vita”, una moderna Ruota degli esposti, dove possono essere lasciati i neonati, dalle mamme o da chi ha il coraggio di farlo al posto loro, è stata inaugurata nel 2007 ma è rimasta inutilizzata fino a ieri, quando ha ricevuto il primo ospite, Mario, capelli scuri, tutina azzurra e biberon pieno di latte. Pare che la Culla sia un esempio di civiltà, poichè aiuta le madri in difficoltà, evita l’abbandono dei bambini in luoghi poco sicuri, agevola l’adozione dei neonati. Sarà. Un Paese civile, secondo il mio personalissimo punto di vista, aiuta le madri, tutte le madri ma sopratutto quelle in difficoltà, ad allevare i propri figli, con o senza un compagno, le accoglie come cittadine che hanno diritto ad una esistenza dignitosa e felice, le aiuta ad avere un lavoro ed un reddito adeguato se non lo hanno, le sostiene psicologicamente e non incentiva la loro disperazione dicendo “l’unica soluzione è darlo via”, le sostiene e non le colpevolizza anche quando decidono di interrompere una gravidanza non desiderata o impossibile da gestire, dà loro una seconda possibilità. Ma tutto questo richiederebbe troppo tempo, troppa fatica, troppo impegno, e allora meglio la soluzione più pratica e immediata.  Sbaglierò, però, io, al pensiero di quella tutina azzurra e di quel biberon pieno di latte, che fa capire tante cose, provo solo un’infinita tristezza.

Italiani, brava gente – un peluche ce lo ricorda.

10 Feb

Un peluche, cosa vuoi che sia un peluche? I bambini ne hanno tanti, quello con le orecchie lunghe dell’asinello, quello con le orecchie tonde dell’orsacchiotto, quello con i baffi del topolino e poi c’è quello con l’anima da angelo custode, che protegge dai brutti incubi, scaccia un pochino le paure, rende il buio della notte meno spaventevole e aiuta a dormire, soprattutto da quando la mamma non c’è più, portata via da chissà cosa. Cosa vuoi che sia un peluche, nella cabina di una gigantesca nave adagiata su uno scoglio, rispetto a tutto quello che ancora contiene quella nave? Rispetto ai corpi di esseri umani che non si trovano, rispetto al carburante che ancora non può essere recuperato, rispetto a quel tempaccio che impedisce quasi ogni intervento sul relitto? Quel peluche può essere un abbraccio caldo nella notte di un bambino che non dorme più e, forse, è un modo per ricordarci, casomai ce lo fossimo dimenticati, che gli italiani sono ancora umani, nonostante tutto. Continua a leggere

Liberi dal peccato, liberi dalla pena.

25 Mar

Per anni, in diverse parti del mondo, migliaia di bambini hanno subito le attenzioni morbose di adulti malati di mente o, nel peggiore dei casi, semplicemente schifosi, per anni, quegli adulti hanno costretto bambini o ragazzini a subire rapporti sessuali non voluti, perché attenzioni morbose significa mani e pezzi di corpi che si sono insinuate nei corpi dei bambini, torturando, soprattutto, le loro anime, estenuando i loro cervelli, violentando le loro menti, senza pietà e senza che nessuno facesse qualcosa per impedirlo. Quegli adulti non hanno pagato e, probabilmente, non pagheranno mai per il male che hanno procurato e il fatto che le persone che avevano il potere per farlo non abbiano mosso un dito o aperto bocca per evitare tanta sofferenza sulla terra, per me è una cosa abominevole. Ed è inaccettabile che alle stesse persone non sia stata e non verrà riconosciuta alcuna responsabilità terrena, per il semplice fatto di appartenere ad una categoria di persone che svolge la propria attività all’interno di una istituzione religiosa, parliamo di preti della Chiesa cattolica ma parliamo, prima di tutto, di uomini che, malati o meno, hanno distrutto la vita di tanti esseri umani, fatti a Sua immagine e somiglianza, e nel farlo hanno commesso un reato, punito con pene stabilite dagli uomini, pene che non potranno mai riparare il danno causato ma che, insomma, possono rendere un briciolo giustizia alle vittime ed impedire che la cosa si ripeta. E invece no, mille scuse, mille “però”, milioni di eccezioni, compresa la considerazione che “la pedofilia non è un problema solo della Chiesa”, e no che il problema della pedofilia non è un problema peculiare della Chiesa cattolica, ma i più alti rappresentanti della Chiesa hanno contribuito a renderlo “il” problema, nel loro tentativo di cancellare la questione, di liquidarla velocemente come un non-problema della più grande istituzione religiosa del mondo, tacendo, nascondendo, chiudendo gli occhi, l’hanno reso ancora più grande e dannoso, in nome di cosa e di chi? Di certo non in nome di Dio e nemmeno in nome di suo Figlio che predicava l’amore vero, il coraggio, il bene, non la viltà. Ebbene, io lo voglio sapere, voglio sapere in nome di che cosa la Chiesa ha taciuto e non ha impedito che tutti quegli esseri umani a Sua immagine e somiglianza soffrissero, voglio una risposta, una risposta convincente perché non mi basta sapere che bisogna punire il peccato ma non il peccatore, come ha detto il Papa nei giorni scorsi, non mi basta, se ad un laico che divorzia è vietato prendere la comunione, mentre ad un uomo che indossa l’abito talare e violenta un bambino è concesso il privilegio di dare la comunione, con le mani ancora sudice della sua libidine malata e malvagia.

P.S. il problema è anche italiano, e ovviamente non riguarda solo i religiosi ma anche le religiose, qui trovate l’anticipazione dell’inchiesta pubblicata da L’Espresso “Pedofilia, l’inferno italiano”, non sarà una buona lettura.

Io sto con Giuseppe.

5 Gen

Per essere precisa, sto con Giuseppe senior e con Giuseppe junior, perché credo che non esista un aiuto psicologico più efficace dell’amore. Le vite di Giuseppe senior, maresciallo dei carabinieri, e Giuseppe junior, 11 anni e un’infanzia abbastanza difficile, si incrociano per la prima volta nel 2007, quando il piccolo Giuseppe viene trovato da alcuni giovani mentre vaga da solo per la città, dopo essere scappato dai maltrattamenti della madre, e viene accompagnato nella caserma dei carabinieri, dove conosce il maresciallo Giuseppe Francioso, che lo ospiterà in casa sua per cinquanta giorni. Dopo quel periodo, il bambino viene ospitato, per ordine del Tribunale dei minori, in una casa-famiglia. Passa un po’ di tempo e in questi giorni, le vite dei due Giuseppe si sono incrociate nuovamente: il bambino si trova a casa per le vacanze di Natale ma, proprio in quei giorni, il convivente della madre la uccide, mentre il bambino dorme nella stanza accanto, intervengono i carabinieri, interviene il maresciallo Giuseppe Francioso, il quale ospita il bambino nella sua casa per un giorno e si rifiuta di consegnarlo immediatamente agli assistenti sociali della casa-famiglia. Naturalmente, il giorno seguente, il Tribunale dispone l’immediato rientro del bambino nella comunità, per il suo benessere psicologico, perché ora deve affrontare la perdita della madre, e viene respinta la richiesta del carabiniere di avere il bambino in affidamento temporaneo almeno fino all’Epifania. No, no, e ancora no. Giuseppe senior, comunque, non si arrende, e presenta una richiesta per ottenere l’affidamento del piccolo Giuseppe, per evitare che rimanga nella comunità “a tempo indeterminato”, probabilmente la strada sarà lunga ma, probabilmente, si potrebbe accorciare se gli assistenti sociali, gli psicologi, i giudici (che fanno il loro lavoro, e lo fanno bene nell’interesse dei minori) qualche volta,trovassero soluzioni a metà strada tra quello che dicono gli studi e la legge e quello che raccomanda il buonsenso,  perché non pensare di dare un supporto psicologico al bambino insieme all’amore di altri esseri umani che si occuperebbero di lui non come un paziente ma solo come un bambino?

Delirio prenatalizio.

1 Dic

Dunque, è da qualche anno che la Bauli mi perseguita con la pubblicità natalizia, con il coro di voci bianche costrette a cantare un motivetto buono e dolce come il pandoro che, però, secondo me non rispecchia per niente la personalità dei bambini, molto più ironici di quanto non pensino i pubblicitari. Certo, la pubblicità è rivolta agli adulti e il coro di voci bianche dovrebbe toccare il loro cuore, ebbene, il mio non lo tocca, anzi mi fa proprio venire voglia di comprare il panettone Motta, potrei cambiare idea solo se mi facessero vedere bambini che ridono, giocano, si divertono e scherzano con Babbo Natale. Questa la dedico a loro e a chi conserva sempre un sacchetto di ironia nella tasca dei jeans 😉

 

A Natale puoi.

A Natale puoi,

fare quello che non puoi fare mai,

mangiare tua sorella,

tirar la coda al cane,

tanto per tutti sei

sacro come il Messia.

 

É Natale e a Natale si può fare cucù,

è Natale e a Natale se Natale anche tu

per noi,

a Natale puoi.

 

A Natale puoi,

fare quello che non vuoi fare mai,

baciare la zia Pia,

che suda come un pesce,

e quando ti ricambia

ti lascia qualche squama.

 

É Natale e a Natale si può fare cucù,

è Natale e a Natale se Natale anche tu

per noi,

a Natale puoi.

 

A Natale puoi,

fare proprio tutto quello che vuoi,

prendere a morsi un topo,

mangiare tua sorella,

quella smorfiosa che

le ha sempre tutte vinte.

 

É Natale e a Natale si può fare cucù,

è Natale e a Natale se Natale anche tu

per noi,

a Natale puoi.

 

A Natale puoi,

fare quello che non vuoi fare mai,

ricevere regali,

che poi non userai,

ma li userà il tuo gatto

che se ne fregherà

di noi. 

 

É Natale e a Natale si può fare cucù,

è Natale e a Natale se Natale anche tu

per noi,

a Natale puoi.

(qui trovate la versione originale)

Assenti giustificati.

20 Nov

Oggi, aprendo la pagina di Google, ho scoperto che si festeggia la giornata universale dell’infanzia, evidentemente il mondo è sembrato insufficiente per i festeggiamenti e quindi si è coinvolto direttamente tutto l’universo. Come spesso accade, quando si organizzano grandi festeggiamenti, qualcosa può sfuggire agli organizzatori, talvolta sfugge la torta, altre volte gli invitati, altre ancora i palloncini colorati. Questa volta, sono sfuggiti gli ospiti d’onore, cioè i bambini. In Italia, per esempio, circa 1 milione e 700 mila bambini non potranno partecipare all’evento, alcuni saranno impegnati a cercarsi da mangiare, molti saranno in qualche buco chiamato casa a sentire crampi allo stomaco per la fame, freddo e tristezza, altri saranno per strada, emarginati dai loro compagni di scuola e guardati con fastidio da molti adulti che, al contrario, parteciperanno ai festeggiamenti universali, molti di quel milione al di sotto degli undici anni saranno sfruttati e saranno impegnati a subire violenze sessuali e, quindi, non potranno garantire la loro presenza alla festa in loro onore. Anche altri bambini avranno difficoltà a partecipare, per esempio, alcuni festeggiati dello Zimbabwe saranno impegnati nel reparto di pediatria della clinica Family Support Clinic, a farsi curare le lesioni fisiche e psicologiche dovute alle violenze sessuali subite, considerando che da quelle parti ogni giorno circa 20 bambini vengono violentati, si può immaginare che saranno in tanti gli assenti giustificati, tra questi è compreso un bambino di pochi giorni, segno che la follia umana è veramente illimitata. Altri festeggiati, invece, saranno impegnati a raccogliere mirtilli negli Stati Uniti, sono sopratutto bambini messicani, hanno ovviamente le manine piccole, perfette per raccogliere le piccole bacche che, probabilmente, serviranno per guarnire le torte della loro festa, alla quale parteciperanno altri bambini presumibilmente meno impegnati. Purtroppo, ci saranno molti altri assenti giustificati ma la lista è troppo lunga per poter essere inserita in un piccolo blog, però mi piacerebbe che, una volta tanto, anche i famosi “grandi della Terra” mettessero da parte l’ipocrisia e facessero qualcosa di serio e concreto per dare una fetta di torta a tutti gli ospiti d’onore, magari evitando i festeggiamenti e limitandosi ad un pasto caldo ogni giorno.