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Quel tè che non gusterò mai più.

20 Mar

19_cocktail_p117--420x520Sono le sei di pomeriggio di un’estate caldissima, in una Hammamet affollata di turisti, giovani del posto che fanno le “vasche” sul lungomare, viaggiatori di tutte le nazionalità, negozi che espongono ninnoli, cianfrusaglie e qualche bel pezzo di artigianato locale, l’aria è dolce, sa di gelsomino, zenzero, cannella, e la luce del sole rende i colori della città ancora più vivi, quasi liquidi. Siamo negli anni novanta, tutto deve ancora succedere. La devastazione totale delle nostre menti “globalizzate”, la follia, e la paura, sono ancora in letargo, ma vengono nutrite silenziosamente da qualche oscuro demone, che riesce a provare piacere solo con l’infelicità del mondo. Ma oggi, in questo viale affollato, siamo ancora ingenui, fiduciosi e curiosi di scoprire nuove culture, di conoscere nuove persone, di assaggiare cibi diversi dagli adorati spaghetti. Siamo illusi, senza esserne consapevoli. In questo caldo pomeriggio, pieno di sole, abbiamo soltanto voglia di annusare l’aria e camminiamo senza una meta particolare, ascoltando il suono di mille lingue che si sovrappongono, italiano, francese, arabo, tedesco, russo, affascinati dall’armonia che nasce da tutta quella mescolanza di vocali e consonanti. Osserviamo le persone che ci stanno intorno, le persone del luogo, gli stranieri, niente fa pensare che quell’oscuro demone stia lavorando in silenzio. Guardiamo le vetrine dei negozi e la nostra attenzione si sofferma su una bella esposizione di tappeti, kilim, macramè, berberi, ne abbiamo visti tanti durante questi giorni, sopratutto nella affascinante Kairouan, ma non ci stanchiamo di ammirarli. Mentre siamo davanti alla vetrina, e indichiamo questo o quel tappeto, un uomo sui quarant’anni, probabilmente il proprietario, esce dalla porta d’ingresso e, con un italiano quasi perfetto, ci invita ad entrare, in modo da vedere l’intera esposizione. Entriamo, senza pensarci troppo, e ci rendiamo conto che il negozio è praticamente vuoto, a parte noi tre, due donne, o meglio una ragazzina e una donna, e un uomo sconosciuto, in terra straniera. L’uomo, un commerciante decisamente sveglio ed esperienza in tecniche di vendita acquisita sul campo, ci mostra altri, splendidi, tappeti e dopo qualche minuto ci invita a seguirlo in un’altra sala “vi offro un bicchiere di tè alla menta, vi piace?”, noi non lo abbiamo mai assaggiato, e lo seguiamo, anche in questo caso senza pensarci troppo. “Accomodatevi” e indica due poltroncine, posizionate, insieme a due sedie, intorno ad un piccolo tavolino in legno, tondo e basso, sono decisamente comode. L’uomo continua a chiacchierare mentre prepara il tè, lo versa in piccoli bicchieri decorati, simili a quelli che un tempo si usavano dalle nostre parti per offrire il rosolio durante le mitiche feste di fidanzamento “in casa”, e li poggia su un vassoio d’argento decorato. Lui prende posto su una delle sedie, accanto alle nostre poltroncine, e continua a conversare amabilmente e così, io e mia madre, per la prima volta nella nostra vita, assaggiamo il tè alla menta, caldo e dal profumo intenso. Ha un gusto delicato, è dolce (ma quando ha messo lo zucchero? Era zucchero? Rimarremo per sempre con il dubbio) ed è ottimo. Ancora qualche chiacchiera e poi decidiamo di andare, l’uomo ci saluta con un sorriso allegro, ci accompagna verso l’uscita e, gentilmente, ci augura buon viaggio “divertitevi al Bardo e non dimenticate di visitare Sidi Bou Said!”. Lui non ha venduto neanche un tappeto e noi abbiamo gustato il migliore tè alla menta della nostra vita. Non sarà più così, non avrà più quel gusto, mai più.  Nel frattempo, infatti, il demone ha iniziato a godere e gli uomini lo hanno assecondato.

Idioti, avete, abbiamo, rovinato tutto.

Il diritto a un papà e una mamma.

11 Nov

Per figli diritto a un papà e una mamma. Irresponsabile creare nuove figure per indebolire famiglia”, parola di Bagnasco, di professione cardinale, presidente della CEI, Conferenza Episcopale Italiana, una persona che, per il ruolo rivestito, fa più tendenza di Lady Gaga (posto che, tra l’altro, ormai Lady Gaga è solo un ricordo annebbiato). Parole ovviamente condivisibili: chi non è d’accordo sul fatto che un bambino abbia bisogno di un papà e di una mamma? Parole, d’altra parte, incomprensibili: quali sarebbero mai le “nuova figure” create per indebolire la famiglia? Lo zio? C’è già. La zia? C’è già. La vicina di casa impicciona? C’è già. Il nonno pedofilo? C’è già. La strega cattiva che fa gli incantesimi brutti brutti brutti? Esiste già, nelle favole, ma comunque esiste. E allora, quali saranno mai le “nuove figure” così nefaste per la Famiglia? Vuoi vedere che si tratta di quei loschi figuri che vogliono fare una famiglia con “papà e papà” o “mamma e mamma”? Mi sa proprio di sì. Eh, già, perché quella gente lì non potrà mai amare un bambino, aiutarlo a crescere, a sentirsi libero e forte in una società sempre più arretrata, come invece riescono a fare i veri “papà e mamma”, maschio alfa femmina beta e viceversa, quelli che, a volte, i bambini non li vogliono proprio? Ma no, non si riferirà a quelli. Un cardinale, un discepolo di quel grande uomo che predicava amore, misericordia, fratellanza, non potrebbe mai neanche dubitare del fatto che a un bambino serva, semplicemente, amore.

Preferisco un mondo senza burqa.

22 Ott

Lo voglio dire, voglio che sia chiaro, a costo di sembrare intollerante: voglio vivere in un Paese dove le donne non sono obbligate ad indossare il burqa. Voglio vivere in una Europa dove le donne possono girare in macchina, con i finestrini aperti, senza avere un velo sul viso, con le mani, le braccia e le spalle scoperte, senza per questo temere di essere sfregiate con dell’acido, da un gruppo di idioti fanatici repressi. Per questo, sto dalla parte dei francesi, e degli artisti del coro dell’Opera di Parigi, che nei giorni scorsi hanno minacciato di interrompere La traviata, se la donna completamente velata seduta in prima fila, non fosse uscita dal teatro, dal momento che in Francia, dal 2010 esiste il divieto di indossare indumenti che nascondono il volto. Non è questione di intolleranza, né di mancanza di rispetto delle culture altrui, è, a mio parere, questione di rispetto dell’essere umano, della propria libertà di movimento, di espressione, di azione. E non nascondiamoci dietro il “consenso”, poiché, come giustamente dice Bernard Henry Levy in un suo intervento del 2010, “lo schiavo felice non ha mai giustificato la fondamentale, essenziale infamia della schiavitù”.

HUFFINGTON POST 17.04.2010

Why I support a Ban on Burqas.

Bernard-Henri Levy is a French philosopher and writer.

People say, “The burqa is a dress, at most a costume. We’re not going to make laws about clothing and costumes.” Error. The burqa is not a dress, it’s a message, one that clearly communicates the subjugation, the subservience, the crushing and the defeat of women.

People say, “Perhaps it’s subjugation, but it’s done with consent. Get it out of your mind that malicious husbands, abusive fathers, and local tyrants are forcing the burqa on women who don’t want to wear it.” Fine. Except that voluntary servitude has never held water as an argument. The happy slave has never justified the fundamental, essential, ontological infamy of slavery. And, from the Stoics to [19th century thinker] Elisée Reclus, from Schoelcher to Lamartine to Tocqueville, all who rejected slavery provided us with every possible argument against the minor added outrage that consists of transforming victims into the authors of their own misery.

People evoke freedom of religion and conscience, freedom for each of us to choose and practice the religion of his or her choice; in the name of what can anyone forbid the faithful to honor God according to the rules indicated in their sacred texts? Another sophism, for — and it can never be repeated enough — the wearing of the burqa corresponds to no Koranic prescription. There is no verse, no text of the Sunna that obliges women to live in this prison of wire and cloth that is the full-body veil. There is not a shoyoukh, not one religious scholar, who is unaware that the Koran does not consider showing the face “nudity” any more than it does showing the hands. And I’m not even mentioning those who tell their congregations loudly and clearly, as Hassan Chalghoumi, the courageous Imam of Drancy, did today, that wearing a full-body veil is downright anti-Islamic.

People say, “Let’s not confuse things! Be careful, drawing attention to the burqa may encourage an Islamophobia — itself a form of racism in disguise — that’s just dying to explode. We closed the door on this racism, preventing it from infiltrating the debate on national identity. Are we going to let it sneak back in through the window in this discussion of the burqa?” Still another sophism, tireless but absurd, for one has nothing to do with the other. Islamophobia — and it can never be repeated enough — is obviously not racism. Personally, I am not Islamophobic. I am far too concerned with the spiritual and the dialogue among spiritualities to feel any hostility towards one religion or another. But the right to freely criticize them, the right to make fun of their dogmas or beliefs, the right to be a non-believer, the right to blasphemy and apostasy — all these were acquired at too great a cost for us to allow a sect, terrorists of thought, to nullify them or undermine them. This is not about the burqa, it’s about Voltaire. What is at stake is the Enlightenment of yesterday and today, and the heritage of both, no less sacred than that of the three monotheisms. A step backwards, just one, on this front would give the nod to all obscurantism, all fanaticism, all the true thoughts of hatred and violence.

And then, people finally say, “But what are we talking about here, anyway? How many cases? How many burqas? Why all this uproar for a few thousand, maybe just a few hundred, burqas to be found in the entirety of French territory, why dig up this arsenal of regulations, why pass a law?” That’s the most popular argument at present and, for some, the most convincing. But in reality, it’s as specious as all the others. For one of two things is true. Either it’s just a game, an accoutrement, a costume (cf. above), if you will, in which case tolerance would be the suitable response. Or else we’re talking about an offense to women, a blow to their dignity, a blatant challenge to the fundamental republican rule — earned at what cost as well — of equality between the sexes. In that case, it is a question of principle. And when principles are involved, the number is of no consequence. Supposing we called into question the laws of 1881 (outlining the fundamentals of freedom of the press and of expression in France) on the pretext that attacks on the freedom of the press have become rare? And, considering the declining incidence of racist or antisemitic attacks, what would we think of someone who suggested the abolition or even the watering down of current pertinent legislation? If the burqa is really, as I am saying, an affront to women and to their secular struggle for equality, it is, moreover, an insult to the women who, at the very hour I write these words, are demonstrating barefaced in Iran against a regime of assassins who claim the burqa among their symbols. This symbol would divide humanity between those of glorious body, graced with no less glorious a face, and those whose bodies and faces are an outrage in the flesh, a scandal, a filthy thing not to be seen but hidden or neutralized. And that is why, if there is even one woman in France, just one, who enters a hospital or the city hall imprisoned in a burqa, she must be set free.

For all these reasons of principle, I am in favor of a law that clearly and plainly declares that wearing a burqa in the public area is anti-republican.

La rivoluzione in tre giorni.

17 Mar

rivoluzione copernicanaDal nostro papa Francesco, nuovo di zecca eppure già così familiare, non mi aspetto certo una rivoluzione copernicana della Chiesa cattolica, non mi aspetto che da domani inizi a celebrare matrimoni tra omosessuali e nemmeno che faccia l’elogio dell’aborto o dell’eutanasia, però, nonostante il disincanto che ormai sembra essere diventato parte del dna modificato di noi esseri umani, ho capito che anche la semplice scelta di un nome nuovo per sé stessi o la benedizione di un cane o un “buonasera”  o un abbraccio o l’esortazione a non giudicare,  possono ridare speranza alle persone e questa, probabilmente, è già una rivoluzione.

Cantate inni al Signore.

11 Feb

Farfalla e gabbiaSul fatto che gli uomini venuti dopo Gesù abbiano talvolta interpretato male il suo messaggio, soprattutto nella parte che riguarda le donne, è ormai risaputo. Per molti dei nostri fratelli – uomini di Chiesa, la donna rimane un essere sporco ed immondo, per il semplice fatto, probabilmente, che ad alcuni di loro la sola visione di una donna manda in confusione gli ormoni e, allora, ecco il demonio con tette e sottana, causa del peccato originale. Ma a questo siamo abituati e pure i nostri uomini di chiesa dai tempi dell’Inquisizione hanno fatto un po’ di strada e hanno dovuto abituarsi alle maniche corte dei nostri abiti, ai capelli non velati, alla nostra libertà di espressione, è stata dura ma ce l’hanno fatta, sebbene la donna rimanga per molti, ma per fortuna non per tutti, uomini di Chiesa, una figlia indegna del Creatore.  Non se la passano meglio, d’altra parte, le donne che hanno a che fare con i rabbini ultraortodossi israeliani, uomini che, evidentemente, hanno ormoni abbastanza scombussolati e non pacificati, e così se i musulmani più intransigenti risolvono il problema “tentazione” rinchiudendo le donne in un saio integrale, gli ortodossi risolvono con una serie di prescrizioni- limitazioni- vessazioni- nei confronti delle donne. Qualche giorno fa, una ragazzina di diciassette anni, Ofir Ben-Shetreet, che ancora va alle scuole superiori, è stata severamente ripresa dalla comunità nella quale vive perché ha osato l’inosabile: ha cantato davanti ad una platea di uomini, si trattava in realtà di una platea mista, dal momento che la ragazza partecipava ad un talent di quelli che vediamo tutti i giorni in tv, ma la presenza di uomini è stata determinante, poiché le donne non devono far uscire dalla propria bocca (si potrà dire bocca? O meglio, si potrà nominare la bocca di una donna?Mmmmmhhh, dubito) dei suoni melodiosi davanti agli uomini perché loro, poveri, si turbano, l’ormone non capisce più niente e poi sono guai. Fortunatamente per lei,  la giovane cantante, indossava un abito che copriva gomiti e ginocchia (notoriamente, armi utilizzate da millenni dalle donne al solo scopo di sedurre gli uomini) altrimenti, immagino, avrebbero trovato un modo più efficace per punirla che non la semplice sospensione dalla scuola.

Eppure, in altre occasioni, le donne hanno cantato in presenza di parecchi uomini:

Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un timpano: dietro a lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze.

Maria fece loro cantare il ritornello:

«Cantate al Signore

perché ha mirabilmente trionfato:

ha gettato in mare

cavallo e cavaliere!».

(Esodo 15:20-21)

Canta Ofir, canta!