Una mattina, alla fine della primavera, iniziai il mio viaggio verso la Cascata della Luce.
Tutti sapevano della mia partenza, perciò, quel giorno, al mio risveglio, prima del sorgere del sole, mi ritrovai circondata da tutti gli amici, un po’ come accadde il giorno in cui arrivai al Bosco, tanti anni prima. Ma stavolta, l’atmosfera era completamente diversa, sembrava quasi una festa: Nando, Cirisbonzia e Cristobaldo, insieme ai giovani Sirbo e Neddu, avevano lucidato i loro peli ispidi ed ora brillavano alla luce delle stelle; Gianni mostrava la sua chioma argentata; i lombrichi saltellavano felici; Isadora era ferma, accanto alla Grande Quercia; il palco del Vecchio Cervo dorato scintillava; Gina Volpetta mi guardava con gli occhi vispi, insieme a tutti gli altri abitanti del Bosco. Erano emozionati, come me, d’altra parte.
Ognuno aveva una raccomandazione diversa, un consiglio, un suggerimento dettati dalle diverse esperienze che avevano vissuto con la Cascata più difficile da raggiungere.
Il viaggio sarebbe stato lungo, come mi spiegò Isadora, «a partire da oggi, per tre volte vedrai il sole sorgere e per due volte saluterai la luna crescente».
Sarei dovuta arrivare a destinazione nel giorno più lungo dell’anno, quando il sole sorge prima che in tutti gli altri momenti dell’anno e tramonta più tardi, ossia nel giorno del solstizio d’estate.
Avrei affrontato il viaggio in solitudine. Nel percorso avrei incontrato altre creature del Bosco ma nessuno dei miei amici sarebbe partito insieme a me, avrei dovuto contare solo sulle mie forze.
«Ricorda – disse Isadora – fidati solo del tuo istinto».
«Lo farò».
Ero pronta.
Salutai gli amici, la nuova famiglia e partii verso la mia meta. Non conoscevo il percorso, sapevo soltanto che mi sarei dovuta dirigere verso est, seguendo il vecchio sentiero, detto il Sentiero della Luce, tracciato nei tempi antichi dai padri fondatori, i quali scoprirono la Cascata della Luce per caso, durante il loro viaggio alla scoperta della culla del sole, «vogliamo vedere dove nasce il sole» dissero alla Grande Quercia e partirono verso l’est.
Il sentiero si stagliava lungo il costone del Monte del Sole, una delle montagne più grandi del Bosco, e permetteva di avere una visuale sull’intera vallata incantata ma, a quell’ora del mattino, con le stelle e con una sottile luna crescente, ancora non riuscivo a vedere né la valle né l’orizzonte, ma soltanto le loro sagome. L’aria era fresca e ciò mi permetteva di correre lungo il sentiero, in modo da accelerare i tempi,in previsione del lungo percorso che mi aspettava e degli imprevisti che, come capita in ogni viaggio, avrei dovuto affrontare. Galoppai fino a quando il sole iniziò ad illuminare il cielo, donandogli i colori del rosa e del celeste, in un miscuglio sempre affascinante. Mi resi subito conto, però, che in lontananza un fitto gruppo di nuvole nere occupava il cielo e avanzava verso la mia direzione. Non ci feci caso più di tanto, poiché in quel momento il mio pensiero era rivolto esclusivamente al Sentiero della Luce il quale, in alcuni punti, era solcato dal passo dei milioni di abitanti del Bosco che lo avevano attraversato nel corso dei millenni, in altri, al contrario, appariva quasi cancellato, forse dal vento o da altri eventi.
«Uelà, come va, Giraffa?».
All’improvviso, mi ritrovai tra le zampe un piccolo riccio, intento a salire lungo il Sentiero della Luce.
«Ciao! Va bene, e tu chi sei? Come sai il mio nome?».
«Io sono Benny Espinosa e ti conosco poiché la fama del tuo collo ti precede. Il Bosco è piccolo, sai, tutti sanno tutto di tutti».
«Be’, mica tanto piccolo. Ho corso tanto per arrivare fin qui».
«Ah sì? Ma, forse perché sei una lentona, io sono un tipo svelto e poi conosco molto bene questa zona».
«Ah, be’, se lo dici tu. Ora vado, ciao Benny» e continuai a camminare per la mia strada, non potevo perdere tempo.
Ora, il sentiero lasciava il costone della montagna e si inoltrava nella fitta boscaglia ma diventava sempre meno riconoscibile. Guardavo le nuvole nere all’orizzonte avvicinarsi sempre più e compresi che, di lì a poco, avrebbero ricoperto il cielo e difficilmente avrei potuto distinguere la mia strada. Mi fermai a riflettere su cosa sarebbe stato meglio fare, se proseguire o fermarmi un po’ in quel punto.
Evidentemente, la mia riflessione fu lunga, dal momento che Benny, il riccio, mi aveva raggiunta.
«Ehilà, sei ancora qua? Lo vedi che sei una lentona?».
«Sto riflettendo sui miei prossimi passi. In questo punto, infatti, il sentiero non è più tanto chiaro».
«Ah, sì, qui è sempre così ma basta girare a destra e lo ritroveremo».
«A destra? Sei sicuro? Le ultime tracce andavano verso sinistra».
«No, no, quelle erano le orme delle bisce, il sentiero prosegue a destra, seguimi».
Non so cosa mi spinse a seguire il riccio, forse mi sembrò un esperto del luogo, forse ebbi qualche dubbio sulle mie capacità, non so cosa mi successe, lo seguii.
Camminammo a lungo, a passo di riccio, cioè molto lentamente, mentre le nuvole avanzavano e ricoprivano il cielo. Il sole iniziava a tramontare.
«Eccolo! Abbiamo ritrovato il sentiero. Guarda qua». Guardai nel punto indicato da Benny e vidi una lunga striscia sul terreno, probabilmente lasciata da un cervo mentre scendeva a valle, «questo non è il Sentiero della Luce, è il solco lasciato da un cervo», «no, è il sentiero! Lo vedi? Eccolo, eccolo! Tu non capisci proprio nulla! Aspetta, ora prendo gli occhiali e lo guardo meglio», «…», «oh, per tutti i ricci del sole! Ho perso gli occhiali! Ah, ma non importa, vedo benissimo lo stesso».
Il riccio aveva grossi problemi di vista, e compresi di aver commesso un grave errore nel seguirlo, dimenticando l’ammonimento di Isadora, «segui solo il tuo istinto».
Quindi, decisi di ritornare al punto in cui avevamo preso la deviazione a destra, mentre la notte calava e le nuvole iniziavano a far cadere le prime gocce.
Trottai velocemente, stando attenta a riconoscere i segnali incontrati all’andata e, fortunatamente, ripresi il percorso originario. Ma avevo perso tanto tempo, la pioggia ora cadeva sempre più forte e con la sua forza cancellava le tracce del sentiero.
Proseguii lungo il mio cammino, mentre intorno a me, tutte le creature notturne correvano avanti e indietro, «ehilà, butta giù forte, eh?» disse un pipistrello, passandomi tra le corna. Pioveva a dirotto, «con tutta questa acqua, vedrai che bella Cascata!» urlò una civetta, sfrecciando veloce accanto alle mie orecchie.
Ormai, era giunta la notte. Nel cielo, le stelle e la sottile luna crescente erano coperte dalle nuvole ma io sapevo che erano lì dietro e, prima o poi, sarebbero riapparse, con le loro punte allegre e scintillanti, per guidarmi ancora una volta. Al momento, però, intorno a me, solo l’oscurità, il temporale, i tuoni e le saette. Il freddo.
Proseguivo nel mio cammino, guidata solo dall’istinto, poiché il sentiero era sommerso dall’acqua, così come parte delle mie zampe, che affondavano nel terriccio fangoso e nei torrenti formati dall’acqua, «non ti preoccupare, poco più avanti c’è la Grotta del Sollievo, lì troverai un rifugio asciutto! Ci si vede!» ma non diedi troppo peso alle parole dell’ennesimo pipistrello, l’esperienza con Benny il riccio mi aveva insegnato ad essere più cauta. Continuai a camminare, sotto la pioggia incessante, senza vedere l’ombra né di una grotta né di nessun altro riparo adatto alle mie dimensioni.
Be’, di sicuro, l’inizio del mio viaggio verso la Cascata della Luce, non poteva dirsi noioso. Senza dubbio, l’avrei ricordato per tutta la vita.
Nel buio, però, riuscii a intravedere uno stretto riparo, creato dai rami di un grosso albero. Decisi di andare là sotto e fermarmi qualche secondo ad osservare la situazione intorno a me. In quel momento, mi sovvennero, ancora una volta, le parole di mia madre « vai Giraffa, prenditi cura di te, e ricorda sempre che conservi un raggio di sole nel sacchetto di vento, cercalo ogni volta che vedrai solo buio intorno a te, cercalo e ti indicherà la strada, noi un giorno ci riuniremo, tutti quanti».
Il mio raggio di sole! Cercai in fretta, sotto il mio manto, il sacchetto di vento che mia madre preparò per me anni e anni prima. Non lo trovai. Un sottile pensiero angosciante iniziava a impossessarsi del mio cervello e sussurrava «l’hai perduto, Giraffa, non lo troverai più» ma lo cacciai via con forza dalla mia testa e pensai «il mio sacchetto è con me, lo ritroverò» e, in quel preciso istante, ricordai di averlo spostato nella parte destra del mio collo, perché fosse più protetto. Infatti, ritrovai il mio sacchetto di vento, completamente integro e asciutto. Lo aprii delicatamente e, con grande sollievo, vidi il mio piccolo raggio di sole più brillante e più caldo che mai. Lo presi tra le zampe e, in mezzo all’oscurità, riuscii a vedere poco distante dal punto in cui mi trovavo, un anfratto abbastanza grande perché io vi potessi entrare. Quindi, mi avvicinai a quell’anfratto e scoprii, con grande meraviglia, che si trattata dell’ingresso di una caverna, era la Grotta del Sollievo! Allora il pipistrello aveva ragione! Mi feci strada e mi ritrovai in un rifugio tranquillo, caldo e asciutto, dove diversi viandanti della notte riposavano. Lì, avrei potuto asciugare il mio manto e riposare per la notte. Conservai il mio raggio di sole nel suo sacchetto, lo riposi sotto il mio manto, e mi misi a dormire.
Continua …
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